La Stampa, 8 aprile 2015
Il paradosso del Brasile che si ritrova con un governo di sinistra e un Parlamento di destra. Così tra tangenti, crisi, favelas in fiamme e carceri minorili, Dilma Rousseff sta perdendo il controllo del suo Paese
Un video di una manciata di secondi ha fatto rapidamente il giro delle reti sociali scuotendo il Brasile in un momento di forte conflitto sociale e di rinascita dell’ala più conservatrice della popolazione.
Nel filmato si vede tutta la disperazione di Terezina Moraes, la madre di Eduardo de Jesus Ferreira, un bambino di 10 anni ucciso da un colpo di pistola in piena fronte sparato, secondo almeno due testimoni, da un poliziotto che partecipava ad una grossa operazione anti-droga nelle favelas del complesso dell’Alemao, nella periferia Nord di Rio de Janeiro.
Il bambino ucciso
Eduardo era appena tornato da scuola e si trovava sulla porta di casa, con il quaderno dei compiti in mano. Freddato per errore o per negligenza, le autorità hanno aperto un’inchiesta contro gli agenti, il suo caso è l’ultimo simbolo della violenza che pervade le periferie delle grandi metropoli brasiliane, proprio quando in Parlamento si sta discutendo la riduzione dell’imputabilità dai 18 ai 16 anni.
Si tratta di un vecchio cavallo di battaglia della destra, che ora ha trovato un consenso tra parlamentari di diversi partiti, nonostante l’opposizione della presidente Dilma Rousseff. Oggi solo i maggiorenni possano finire in carcere, mentre i ragazzi dai 12 ai 18 anni vengono destinati ad istituti correzionali. A guidare la riforma è lo stesso presidente della Camera Eduardo Cunha, teoricamente alleato della Rousseff, ma che da mesi si comporta come un primo ministro in pectore, con una grande capacità di dialogare e trovare accordi con l’opposizione che mettono spesso in minoranza quel governo che, sulla carta, dovrebbe appoggiare. Conservatore, evangelico convinto, profondamente contrario al matrimonio fra le persone dello stesso sesso o a una parziale depenalizzazione dell’aborto, Cunha è diventato una vera spina nel fianco della presidente, la cui popolarità è scesa molto negli ultimi mesi.
Alleanze troppo fragili
Rieletta ad ottobre al termine di un ballottaggio molto disputato, Rousseff soffre le ripercussioni del maxi scandalo di corruzione dell’impresa petrolifera pubblica Petrobras e si trova ad affrontare una crisi economica che ormai nessuno può più negare. La sua maggioranza si appoggia in parlamento su un’alleanza fin troppo eterogenea di dodici partiti, dove il Pmdb di Eduardo Cunha la fa da padrone, dettando spesso l’agenda politica. Il Brasile vive così il paradosso di una strana «coabitazione»; governato da un centrosinistra sempre più debole, scivola tra il Parlamento e la piazza verso destra. Domenica prossima si terrà la seconda giornata di mobilitazione nazionale contro la corruzione e contro il governo. Un mese fa scesero complessivamente in piazza più di un milione di persone, con una serie di parole d’ordine che andava dall’inasprimento delle pene per i politici corrotti, alla richiesta di impeachment per la stessa Dilma a causa dell’affaire Petrobras, alla convocazione di una nuova assemblea costituente. Alcuni gruppi minori chiedevano addirittura l’intervento delle forze armate, un «golpe bianco» per cacciare via tutta la classe politica.
La riforma «punitiva»
La mano dura contro la delinquenza, anche nei casi di minorenni è una delle rivendicazioni più diffuse. Diverse ong hanno ricordato che, secondo l’Unicef, soltanto il 3% dei delitti commessi sono ad opera di minori d’età, mettendo in guardia sui rischi di un ulteriore allargamento della popolazione carceraria, considerando che le prigioni sono spesso delle vere scuole del crimine. «Invece di ridurre l’imputabilità – spiega Ariel de Castro Alves dell’Università di San Paolo – dovremmo ripensare interamente il nostro sistema punitivo, che oggi presenta più del 60% di recidività gli ex reclusi adulti e solo il 15% fra i minorenni provenienti dagli istituti». Mentre Dilma Roussef esprimeva le sue condoglianze ai famigliari del piccolo Eduardo, il suo scomodo alter ego politico ha ribadito la necessità della riforma costituzionale. «Il narcotraffico – ha detto Cunha – usa i minori perché sa che non possono andare in carcere. Cambiare la legge sull’età penale è un passo fondamentale per salvare dalle barbarie il nostro Paese».