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 2015  aprile 08 Mercoledì calendario

I Romeo e Giulietta siriani. Lui, 12 anni, è riuscito a fuggire in Giordania, lei, 14 anni, è rimasta intrappolata a Homs. I due si amano via Skype

Ibrahim ha 12 anni, è un profugo siriano in Giordania con la famiglia decimata dalla guerra civile, e lei ha 14 anni, ancora intrappolata fra le rovine di Homs: si amano ma possono parlarsi solo attraverso Skype. Fra i rifugiati che popolano i quartieri di Amman la loro storia evoca il precedente di «Romeo e Giulietta» e l’ex attore siriano Nawar Budul ha deciso di trasformarsi in regista per realizzare un rudimentale spettacolo teatrale, destinato ad attirare l’attenzione sulle molteplici tragedie umane innescate dal conflitto iniziato in Siria nel 2011 e costato già 200 mila vittime e 11 milioni di profughi.
L’appuntamento
Ogni sera, sul tetto di un ospedale di Amman noto per accogliere i feriti della guerra nel Paese vicino, va così in scena l’edizione «siriana» di «Romeo e Giulietta». L’unico protagonista sul palcoscenico è il piccolo Ibrahim che con il suo smartphone si collega a Skype e cerca quindi nell’etere l’amata imprigionata a Homs, una delle roccaforti sunnite della rivolta popolare contro il regime di Bashar Assad. Quando i due si trovano, un gioco di luci scherma il volto della ragazza per proteggerla dalle ritorsioni del regime, ed inizia un dialogo che a volte riprende gli scambi fra Romeo e Giulietta. Anche grazie ad un proiettore che a volte fa apparire il profilo della ragazza su un balcone. Ibrahim e la giovane di Homs si parlano, raccontano le rispettive passioni e descrivono i tormenti che li accomunano.
Il racconto
È una finestra sulla guerra grazie alla storia vera che riempie i posti a disposizione nel teatro a cielo aperto. «In molti casi si tratta di rifugiati, il pubblico è parte integrante della tragedia» spiega Bulbul, divenuto grazie a quest’opera un protagonista delle pagine culturali sui giornali egiziani e del Golfo Persico. Ma lo show-verità a volte comporta degli imprevisti. Non tutto fila liscio ogni sera perché Homs è zona di guerra, assediata da governativi e le alleate milizie Hezbollah: può avvenire che vi siano improvvisi black out elettrici o cadute di linee telefoniche che azzerano all’istante la connessione Skype, facendo sparire all’istante la sagoma di lei dallo schermo bianco che la proietta proprio davanti a Ibrahim. Si vengono così a creare lunghe, drammatiche pause – in un’occasione l’interruzione è durata due ore – che fanno condividere al pubblico l’amarezza della separazione. Sono i momenti durante i quali Ibrahim si racconta, alzando il velo sulle sofferenze patite: la madre e i tre fratelli uccisi sotto i bombardamenti a Damasco, la fuga verso la Giordania disseminata di insidie e ricatti, la gamba ferita dalle mine, l’arrivo in una nuova patria dove viene accolto come un intruso e l’unica, incontenibile, speranza di ricominciare a vivere grazie all’amore per la sua irraggiungibile «Giulietta».
Il regista
Bulbul è lo stesso regista che lo scorso anno si affidò ai bambini profughi del campo di Zaatari, dove vivono almeno 83 mila rifugiati siriani, per mettere in scena una versione ridotta di «Re Lear» puntando sui testi di Shakespeare per raccontare i loro dolori. E con «Giulietta e Romeo» adesso guarda oltre, a «quell’oceano umano di 440 mila persone assediate dalla guerra in Siria, impossibilitate a muoversi o a ricevere aiuti, a cui è rimasto solo l’etere per coltivare la speranza di una vita normale». In questi giorni significa riferirsi anche ai 16 mila assediati di Yarmuk, il campo palestinese alle porte di Damasco. Fra i rifugiati che vanno ad applaudire Ibrahim – sopravvissuto a tre operazioni ad una gamba a causa delle ferite subite – sono in molti a riconoscersi in quanto afferma sul palcoscenico, cercando con frasi ed espressioni sempre differenti di ritrovare su skype l’amore ostacolato dalla guerra.