Libero, 8 aprile 2015
Tutte le bugie di Renzi sul finto taglio delle tasse. Il premier presentando il Def: «Nel 2015 prelievi in calo di 18 miliardi di euro». Ma per la legge di Stabilità gli 80 euro sono spesa. E schizzano le entrate fiscali
Ci risiamo. Matteo Renzi non riesce a parlare agli italiani se non con il megafono della propaganda, e torna a dire proprio mentre prepara il Def (ieri solo esaminato dal consiglio dei ministri, che lo approverà venerdì) una delle più evidenti falsità del suo regno a palazzo Chigi: «Ho abbassato le tasse per 18 miliardi di euro». Come le rane e i rospi delle favole, se non ha fatto effetto la prima volta in cui hai gonfiato il petto, bisogna allargarlo di più. E infatti ieri l’ha sparata un po’ più grossa di quel che faceva fino allo scorso Capodanno: «Diciotto miliardi di tasse tagliate. No, anzi, sono ventuno perchè ho evitato le tasse di Enrico Letta».
Da dove vengono quei fantomatici 18 miliardi di tasse ridotte agli italiani? Risposta di ieri del premier: «10 sono i miliardi derivanti dal bonus degli 80 euro e 8 dalle misure legate soprattutto al costo del lavoro». E come mai- italiani a parte che sanno benissimo come questa più che una favola sia panzana colossale, sia le autorità monetarie internazionali che la stessa italianissima Istat dicono l’esatto opposto, e cioè che la pressione fiscale italiana sia aumentata? Figurarsi se Renzi non ha una risposta anche per questi “soloni” o “professoroni” che tanto male gli vorrebbero: «Le statistiche di autorevolissime istituzioni ci dicono che questi 80 euro sono in realtà un aumento di tasse perchè vengono considerati come prestazioni sociali e non come una riduzione del bonus Irpef, e tutto ciò da fiato a chi dice che le tasse aumentano, ma chi sta a casa sa perfettamente che non è così: gli 80 euro sono una riduzione della pressione fiscale».
Proviamo a mettere un po’ di numeri veri in fila, e poi spieghiamo. Innanzitutto bisogna correggere il Renzi cinguettante e virtuale con quello scritto nero su bianco. La misura degli 80 euro non vale 10 miliardi, ma 8,7 miliardi. Così è scritto nella tabella finale della legge di stabilità 2015 firmata da Renzi e dal suo ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan. La differenza è di 1,3 miliardi di euro, e non si tratta di bruscolini. Magari per Renzi contano poco (lui è abituato a mangiare, volare, dormire e fare vacanze a spese altrui, si tratti dello Stato o di qualche generoso imprenditore amico), per chi avrebbe dovuto ricevere quei soldi e non ha visto un cent quel miliardo e trecento milioni pesa invece come un macigno. Ma entriamo nei particolari da azzeccagarbugli che tanto danno fastidio al premier. Quegli 8,7 miliardi di costo del bonus da 80 euro sono stati contabilizzati nella legge di stabilità da Renzi e Padoan e non da quei cattivoni della Ue per 8 miliardi di euro come aumento della spesa pubblica e solo per 0,7 miliardi di euro come riduzione delle tasse. Visto che l’hanno fatto loro, il motivo avrebbero dovuto spiegarlo proprio Renzi e Padoan. Ma sono stati zitti, accusando altri che non c’entravano nulla. E allora li sostituiamo noi spiegando cosa è accaduto.
Quegli 80 euro sono una regalìa, una sovvenzione sociale per altro nemmeno data a chi ne aveva più bisogno. È stata inventata prima delle elezioni europee come la famosa scarpa di Achille Lauro data ai napoletani prima del voto, con la promessa dell’altra solo una volta fosse stato eletto. Renzi ha fatto più o meno così: ha promesso che quella regalìa sarebbe divenuta permanente e sarebbe stata allargata ad altre categorie. Si è preso i voti alle europee, e dopo ha mantenuto solo parzialmente le promesse: la scarpa è arrivata per fare il paio solo a una parte di quelli che erano stati abbindolati prima dell’urna.
Gli 80 euro di Renzi sono sotto il profilo economico più sostanziosi, ma identici alla social card inventata nel 2008 da Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti e tanto criticata anche dal premier e dalle sue attuali cheerleaders di regime. Con la social card andavano 40 euro al mese solo ai poverissimi: la cifra era la metà di quella di Renzi, e la platea molto più ristretta. Però erano quelli che avevano più bisogno, e la filosofia era la stessa: una sovvenzione di Stato, un contributo sociale.
Perchè gli 80 euro sono spesa sociale e non taglio delle tasse? Semplice. Perchè il sistema fiscale italiano è progressivo, e questa caratteristica è sempre stata una bandiera della sinistra. Tanto è che le attuali cinque aliquote Irpef portano la firma di Vincenzo Visco e dell’ultimo governo di Romano Prodi. L’unico modo possibile per ridurre la pressione fiscale è toccare quelle aliquote verso il basso. Se lo si fa però il beneficio si spalma su tutti i contribuenti. Ad esempio se si porta dal 22 al 20% l’aliquota più bassa, sui redditi fino a 15 mila euro, darai 330 euro a tutti i contribuenti italiani. Una somma che peserà di più su chi ha redditi bassi e non conterà molto su chi guadagna 240 mila euro. Ma il beneficio deve riguardare tutti, altrimenti non è uno sconto fiscale. Il sistema progressivo è stato pensato dalla sinistra per tassare i ricchi più dei poveri. Va bene quando le tasse le devi mettere, non quando le devi togliere. Se tu tocchi le aliquote più basse, ne godranno anche quelli che guadagnano di più. La vocazione della sinistra è sempre stata quella di mettere tasse «che sono bellissime». Non quella di toglierle: non avevano mai pensato a una possibilità simile.
Il prospetto di copertura triennale della legge di stabilità per il 2015 (sempre scritto da Renzi e Padoan, non dai gufi) per altro dice che nel triennio lo Stato spenderà 61 miliardi e 190 milioni di euro di più (16 miliardi nel 2015), e aumenteranno pure le entrate fiscali di 64 miliardi e 313 milioni di euro (10 miliardi in più nel 2015). È la legge di stabilità che ha messo più tasse in assoluto negli ultimi anni. Peggio addirittura di quella 2013 firmata da Mario Monti. E il conto non considera l’aumento della pressione fiscale locale, che pure c’è e finisce nelle stesse tasche: quelle dei cittadini italiani. Perchè Renzi farà pure finta di nulla, accusando sindaci e presidenti di Regioni, ma quando lui taglia loro i trasferimenti, loro se li riprendono aumentando Tasi, addizionali Irpef e altre tasse locali. È accaduto nel 2015, riaccadrà nel 2016 secondo le anticipazioni del Def. Che si rimpallino le responsabilità Renzi, il capo dei sindaci (il renziano Piero Fassino) e il capo dei presidenti di Regione (il renziano Sergio Chiamparino) è polemica stucchevole che interessa solo a loro. Per i cittadini italiani la notizia è una sola: il premier e i suoi amici del cuore bisticciano fra di loro su chi mette per primo le mani nelle tasche dei contribuenti, ma da quelle tasche il denaro continua ad uscire come un fiume in piena. Per questo siamo sempre tutti più poveri.