Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  aprile 08 Mercoledì calendario

La scuola dei clandestini che non funziona: 500 milioni di euro in tre anni per (non) formare i profughi. Regione per Regione, ecco come impieghiamo risorse per accogliere chi chiede asilo

L’ex componente del tavolo sull’immigrazione del Viminale Luca Odevaine, intercettato al telefono con il suo commercialista nell’ambito dell’inchiesta Roma Capitale, era molto esplicito. Nel descrivere il core business del sodalizio, faceva riferimento ai «posti Sprar che si destinano ai Comuni. Tanti abitanti, tanti posti».
Sprar sta per Sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati. Istituito dall’articolo 32 della legge numero 189 del 2002, meglio conosciuta come Bossi-Fini, lo Sprar altro non è che una rete incaricata di realizzare, grazie al contributo degli enti locali, progetti territoriali per l’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati. «Per attivare il sistema», spiega il Viminale sul proprio sito, «gli enti locali possono utilizzare le risorse finanziarie messe a disposizione dal ministero dell’Interno attraverso il Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo». Un Fondo a sua volta foraggiato in sede di legge di Stabilità. Una torta che per il triennio 2014-2016 vale oltre mezzo miliardo di euro: 137 milioni per il 2014; 187 per il 2015 e altrettanti per il 2016. Scopo principale del programma: facilitare l’apprendimento della lingua italiana da parte dei migranti e individuare percorsi formativi e di riqualificazione professionale per promuovere l’inserimento lavorativo del richiedente asilo.
Ma non sempre, come dimostrano le testimonianze provenienti da Torino, dove i programmi linguistici sarebbero spesso insufficienti anche a raggiungere un livello minimo di comunicazione, va così. Sul web sono numerose le anomalie denunciate dalle associazioni di volontariato sulla gestione dei fondi stanziati dal Viminale. E dire che il ministero dell’Interno ha deliberato quattro allargamenti straordinari della rete Sprar. Agli iniziali 3mila posti disponibili, ne sono stati aggiunti 702 a dicembre 2012, 800 a maggio 2013, 900 a giugno 2013, 6.490 a luglio 2013 e altri 2mila tra ottobre e novembre.
L’allargamento della rete ha permesso al Viminale di mettere a disposizione, alla fine del 2013, 13.020 posti di accoglienza, di cui 12.076 destinati alle categorie ordinarie (richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale), 253 ai beneficiari con disagio mentale o disabilità e 691 a minori stranieri non accompagnati. Gli enti locali titolari di progetto sono stati 415, di cui 375 Comuni, 30 Province e 10 unioni di Comuni. Tre le Regioni capofila: Sicilia (2.607 presenze); Lazio (1.949, tra i quali spiccano i posti gestiti dalla Cooperativa Eriches 29 di Buzzi a Licenza, in provincia di Roma) e Calabria (1.056).
Il costo dei progetti (456 quelli finanziati nel triennio 2014-2016), «è di 35 euro al giorno per ogni rifugiato, comprensivi di vitto, alloggio, medicine, corsi e assistenza di base», ha fatto i conti Daniela di Capua, direttore del Servizio centrale dello Sprar. Spesso, però, i numeri non tornano. Basta dare un’occhiata a quanto accade in Sicilia. Il Comune di Acireale, ad esempio, per l’accoglienza di dieci minori non accompagnati, si è visto approvare un progetto del valore di oltre un milione di euro (poco meno di 328mila euro all’anno). Oltre 60 euro al giorno a minore. A Catania, invece, per l’accoglienza di 80 richiedenti asilo è stato previsto un costo complessivo di 3 milioni e 800mila euro. In pratica per ciascun migrante il Viminale sborserà circa 130 euro al giorno. Il Comune di Petralia Soprana, in provincia di Palermo, insieme ai centri di Blufi, Castellana Sicula, Gangi, Petralia Sottana e Polizzi Generosa, per 1,9 milioni di euro si occuperà della gestione di novanta posti di accoglienza.
«Questo sistema favorisce il proliferare di centri senza nessuna professionalità, senza nessun interesse per l’accoglienza», ha denunciato sul web Alberto Biondo, di Borderline Sicilia Onlus, in un post intitolato «La caccia all’oro». Lo scorso 29 gennaio, su Twitter, il leader della Lega, Matteo Salvini, ha denunciato l’apertura del nuovo centro Sprar di Ballarò, a Palermo: «677mila euro per ospitare 30 immigrati senza casa né lavoro».
L’elenco dei Comuni dove balza agli occhi il rapporto tra costo complessivo e numero di richiedenti asilo accolti è lungo. A Narni, in Umbria, 65 posti costano oltre un milione di euro all’anno. La provincia di Trento, per la gestione di 132 posti, potrà contare su oltre 4,5 milioni di euro nel triennio. Quella di Potenza, per un importo di un milione e 800mila euro, ha incassato l’approvazione dei progetti di accoglienza nei Comuni di Sant’Arcangelo, Palazzo San Gervasio e Rionero in Vulture. Ma i posti per i migranti sono appena 35.
A Bivongi, un Comune calabrese in provincia di Reggio Calabria, un gruppo consiliare di opposizione ha messo le mani avanti, avvertendo del rischio che grava su «quantità e qualità dei servizi offerti». Tutta colpa del cofinanziamento di 125mila euro per il 2015, giudicato «sproporzionato» rispetto al contributo di 231mila euro assegnato dal Viminale: «Chi impegna cospicue risorse della comunità deve dare risposte. Perché gli stessi sforzi non vengono fatti a favore dei tanti disoccupati bivognesi?».
Poi c’è il caso di Matera. Il costo complessivo per trenta posti di accoglienza sarà di oltre un milione e mezzo di euro. La cooperativa guida è la società Il Sicomoro, il cui presidente è, dal novembre 2009, Michele Platì. Quel Platì che dal luglio 2007 all’ottobre 2009 è stato assessore alle Politiche sociali del Comune di Matera. Quando si dice le coincidenze.