Il Messaggero, 7 aprile 2015
Expo verso il flop. Da 52 milioni di euro i costi sono saliti a 130. I primi a finire sono stati i cechi, ma resta il fatto che, anche se russi, turchi e nepalesi sono i più indietro con i lavori, «il Paese organizzatore non può permettersi di fallire col proprio Padiglione». Ce lo ricorda il Bureau International des Expositions
Onore alla Repubblica Ceca che, se fosse per lei, l’Expo di Milano sarebbe già bell’e pronto per l’inaugurazione. Sono stati i primi, i cechi, a completare il proprio padiglione comprensivo di statua davanti all’ingresso: con un mese d’anticipo. Persino troppo presto. Così gli operai e i tecnici giunti da Praga si guardano intorno, a braccia conserte, mentre dal resto del cantiere si alza un infernale brusio meccanico di escavatrici, camion, gru, martelli pneumatici, trapani. E tutti, a differenza dei cechi, si affannano assediati dalla stessa domanda: «Faremo in tempo?».
In gioco qui, tra cavi all’aria e tondini ancora desolantemente nudi piantati nel fango, c’è l’immagine dell’Italia ma anche la proverbiale efficienza milanese, a dir poco a forte rischio. L’area dell’Expo di Milano, vista dall’alto, ha la forma di un pesce grande come duecento campi da calcio. È attraversato da un viale di un chilometro chiamato Decumano, e sul lato corto da un altro viale chiamato Cardo. A lavori ultimati ci saranno ottantasei palazzi sui due viali. Più di cinquanta costruiti e gestiti dai Paesi che hanno voluto uno spazio tutto per loro, altri nove dove le Nazioni meno abbienti (o meno interessate) si sono messe insieme sulla base di «tematiche comuni». Poi un’altra ventina di padiglioni gestiti da imprese o associazioni private, o dedicati ad argomenti specifici.
I russi e i turchi sono i più indietro. I loro padiglioni stanno quasi a zero, e ci vuole la fantasia di un sognatore per immaginarli finiti entro il Primo Maggio. Ma hanno garantito che ce la faranno. I nepalesi si sono imbarcati in un’avventura stramba affidando il grosso del lavoro agli incisori che decorano con minuzia grandi travi di legno scuro che costituiranno lo scheletro del loro palazzo. Lavorano con lentezza, ma col sorriso, certi di farcela. «A parte Russia, Turchia e Nepal, tutti gli altri progetti sono a buon punto» dice il commissario di Expo, Giuseppe Sala.
Nel giorno di Pasquetta il sindaco Pisapia si aggira nel cantiere per un sopralluogo: «Stiamo facendo i miracoli». E già l’utilizzo della parola «miracoli» la dice lunga sul clima da emergenza che si respira. Del resto, sono ancora in corso i lavori per la «rimozione delle interferenze», quelli che dovevano essere completati più di un anno fa per rendere l’area accessibile ai costruttori degli stand. Affidati a una cooperativa di Ravenna, i termini di consegna hanno subito tre rinvii per le ragioni più disparate, e i costi sono saliti da 52 milioni a quasi 130 milioni di euro.
L’OROLOGIO DIGITALE
Una decina di giorni fa il sito web creato appositamente per monitorare lo stato di avanzamento dei lavori (OpenExpo) aveva creato scompiglio decretando che solo il 9 per cento dei progetti è già stato realizzato. Poi qualcuno ha spiegato che in realtà le statistiche non vengono aggiornate da tempo e che, dunque, la progressione delle opere è ben più avanti, oltre il 60 per cento. I susseguenti sospironi di sollievo hanno fatto passare in secondo piano il fatto che il sito creato appositamente per garantire la trasparenza dell’operazione sia stato abbandonato a sé stesso.
GIORNO E NOTTE
Ci sono 6.500 operai che in questi giorni lavorano nel cantiere. Sabato e domenica compresi. Intorno a qualche padiglione s’è iniziato pure a lavorare di notte, significa che il fiato sul collo del tempo che passa si fa sentire. Vicente Loscertales, segretario del Bureau International des Expositions, viene a Milano ogni due settimane per verificare lo stato dell’arte. Un paio di giorni fa se n’è andato somministrando ottimismo, però ha anche messo in guardia l’Italia: «Il Paese organizzatore non può permettersi di fallire col proprio Padiglione».
Già, perché oltre ai problemi dei russi e dei turchi ci sono anche i problemi degli italiani. Il nostro Paese, ovviamente, fa la parte del leone. Ha riservato per sé tutti gli spazi che si affacciano sul Cardo. I cinque piani del Palazzo Italia – il cuore dell’area espositiva – sono completati. Il problema sono gli allestimenti interni ancora in una fase embrionale: «Il primo maggio i visitatori potranno vedere tutto quello che c’è da vedere». Per quella data, però, gli uffici e l’auditorium che nel progetto iniziale dovevano trovare spazio nel Palazzo non saranno ultimati.
Lo stesso discorso vale per il resto del settore italiano, in particolare per le palazzine che ospitano gli stand delle regioni, quello di Confindustria, quello di Coldiretti. La società che ha vinto l’appalto per l’edificazione e l’allestimento delle strutture – Italiana Costruzioni – ha moltiplicato il numero dei tecnici e degli operai impegnati nel cantiere e ha sottoscritto un accordo in base al quale se i lavori non termineranno in tempo utile dovrà pagare una penale. Rimane il fatto che questo forcing contribuisce a far lievitare i costi del Padiglione, già saliti da 63 milioni a 92.
PROGETTI RIDIMENSIONATI
«Sui soldi in più nessun problema» giurano i responsabili di Padiglione Italia «con i contratti degli sponsor privati le spese suppletive sono già coperte». Sarà pur vero. Ma col crescere delle spese cresce il rammarico per quel che poteva essere e non è stato. E, soprattutto, per gli anni spesi a litigare, a ingaggiare battaglie politiche per chi doveva comandare, a fare e disfare consigli di amministrazione, insomma a occuparsi di tutto fuorché dell’essenziale. Col risultato che i progetti iniziali sono stati ridimensionati e ora si sta col cuore in gola per arrivare in tempo.
Ai problemi interni al cantiere si devono sommare quelli esterni. Che sono parecchi e riguardano soprattutto i trasporti. La bretella autostradale che doveva collegare il nord di Milano con l’area espositiva non sarà in funzione nei giorni dell’inaugurazione. La nuova linea 5 della metropolitana è aperto solo a metà, e le stazioni più prossime all’Expo verranno inaugurate a fine mese ammesso che i collaudi vengano fatti in tempo. Per non parlare dell’altra linea (la Blu) che nei progetti iniziali doveva essere in funzione, ma la cui costruzione è stata rimandata al 2022.
«In qualsiasi grande manifestazione internazionale si arriva sempre col cuore in gola» dice ancora il commissario Sala. Perfino gli olandesi che hanno deciso di partecipare solo alla fine del 2014 stanno finendo solo ora il loro padiglione. Però non tutti corrono allo stesso modo: qualche giorno fa la società Expo ha indetto un appalto da più un milione per le coperture di abbellimento dette di «camouflage». Sono quei teloni che vengono innalzati per coprire le brutture di cantieri ancora aperti, e anche questa notizia ha creato allarme. In realtà i teloni stavolta dovrebbero servire solo per dare grazia ad alcune strutture non proprio gradevoli, tipo i container delle biglietterie, o i bagni chimici. «Su Expo siamo riusciti a raddrizzare una situazione di grande difficoltà» ha detto l’altro ieri il neo ministro delle Infrastrutture, Delrio. Bisogna aspettare ancora venticinque giorni per capire se la situazione è stata raddrizzata per davvero.