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 2015  aprile 07 Martedì calendario

La dura vita del capogruppo, tra veleni, trame e dimissioni incombenti. Gli attacchi a Brunetta, le firme contro la De Girolamo, solo per fare due esempi

Certi pomeriggi, in Transatlantico, vanno via così.
(Immaginate la scena alla buvette, davanti a un caffè pessimo, i camerieri che ascoltano annoiati)
«Forza Italia è deflagrata: vogliamo sentire Romani?».
«Dai, va bene. Anche se non sarebbe male Speranza sul Pd che, qui, quando arriverà l’Italicum, rischia di fare il botto...».
«Comunque Romani l’ha sentito ieri il Tg1. Proviamo con Brunetta?».
Renato Brunetta, in assoluto, è il più ambito dai cronisti, in questa stagione parlamentare così incerta, litigiosa, complessa, che i capi dei gruppi alla Camera e al Senato attraversano centrati, ogni ora, da critiche e sospetti, rischiando di finire sempre dentro un’imboscata polemica, una ripicca, una richiesta di dimissioni.
Brunetta guida a Montecitorio un gruppo di 69 deputati, 35 dei quali (i 18 controllati da Raffaele Fitto e i 17 di Denis Verdini) gli sono ufficialmente ostili. A turno, diciamo a giorni alterni, si alza uno che gli chiede di mollare l’incarico. Lui però non ci pensa minimamente e, anzi, disinvolto, sicuro di sé, dà sempre grandi soddisfazioni.
Pochi giorni prima l’elezione del nuovo capo dello Stato, nel pieno di un delicatissimo gioco di equilibri tra Silvio Berlusconi e Matteo Renzi, in cui nessuno osava fare mezzo nome, Brunetta rilasciò un’intervista ad Aldo Cazzullo. Che gli chiese: e se fosse Sergio Mattarella? «Il presidente della Repubblica dev’essere una personalità di grande spessore, di alta esperienza internazionale, di provata capacità di governo. Oggettivamente, con tutto il rispetto che si merita, Mattarella non ha queste caratteristiche».
Paolo Romani, capogruppo di FI a Palazzo Madama, è meno scoppiettante, più diplomatico – 67 anni, imprenditore, uomo scaltro, abituato al potere, realmente cinico, esperto di mass media, di lui Berlusconi si fida totalmente – e però anche Romani, ogni tanto, dispensa qualche legnata. A Milano, una decina di giorni fa, fu piuttosto brusco e sincero: «Siamo divisi, litighiamo, non raccontiamo cose credibili e i peggiori di noi vanno in tv solo ed esclusivamente per dire stupidaggini...».
Con chi ce l’aveva? Chi sono i volti televisivi di Forza Italia? Pensava a Giovanni Toti o a Daniela Santanchè? Oppure a Laura Ravetto? Nell’incertezza, sono arrivate anche a lui richieste di dimissioni (di solito, quando gira voce che Romani possa essere rimosso, subito tutti pensano che a sostituirlo sia Anna Maria Bernini; nel caso di Brunetta, invece, il deputato pronto a subentragli è sempre Elio Vito, ma poi è Vito stesso che ti prende in un angolo e ti fa capire che le dimissioni di Brunetta sono probabili come una nevicata a Miami).
Un altro che se continua così, nonostante la giovane età, 36 anni, rischia i capelli bianchi, è Roberto Speranza, il capo del gruppo Pd alla Camera.
Speranza – ex segretario della Basilicata, poi coordinatore di Bersani alle primarie del 2012 – è una persona mite ai limiti della timidezza. Urlargli contro sarebbe un gesto vigliacco: così gli parlano alle spalle, nella penombra (a Montecitorio, su 309 deputati del Pd, i dissidenti – secondo calcoli recenti – sono così divisi: 80 sono di Area riformista e li guida proprio lui, Speranza; 20 sono di Sinistradem, Gianni Cuperlo in testa; poi ci sono un paio di civatiani compreso Civati medesimo e una ventina tra vecchi leoni, come Pier Luigi Bersani, e battitori liberi, come Francesco Boccia).
Speranza ha imparato a rispondere d’istinto che «nel nostro gruppo c’è un confronto aperto e costruttivo».
Risponde così anche adesso.
Speranza, su, ci pensi meglio: sicuro che va tutto bene?
«Ok... il confronto, a volte, può essere serrato. Però poi ciò che conta è il momento del voto: e lì, salvo rare eccezioni, dimostriamo compattezza».
Sull’Italicum, con i renziani, rischiate però la spaccatura.
«Vedremo. Le prossime settimane ci aspetta un delicato lavoro politico e...».
E poi, ad un certo punto, andrete tutti in pellegrinaggio da Renzi. Che vi dirà cosa fare.
«No, guardi: io ho una cultura laica e pellegrinaggi non ne faccio, tantomeno da Renzi... Da Renzi andiamo perché lui è il nostro segretario e, quindi, certo è nostro compito ascoltarlo e confrontarci».
Renzi, di solito, preferisce essere solo ascoltato.
«Veramente, con Renzi è previsto anche il confronto. Del resto, io ho doveri precisi con il gruppo parlamentare che due anni fa mi ha eletto, la prego di ricordarlo, a scrutinio segreto...».
D’accordo, grazie, neanche a insistere troppo, che è Pasquetta per tutti.
Tra l’altro: passate le sante festività pasquali, un bel colpetto di scena potrebbe regalarlo Nunzia De Girolamo. Per farla dimettere da capogruppo di Area popolare (Ncd-Udc), Angelino Alfano l’altro giorno si mise addirittura a raccogliere un po’ di firme tra i suoi deputati. Lei, furiosa, promise di convocare l’assemblea dei suoi.
Vediamo.
Aspettiamo.
Anche se la regola è: capogruppo minacciato, capogruppo mezzo salvato.