Il Messaggero, 7 aprile 2015
La morte delle api. Non sopravvivono ai pesticidi, all’inquinamento e ai cambiamenti climatici: la «sindrome dello spopolamento degli alveari» mette a rischio l’agricoltura. In Italia, dal 2008, ce ne sono il 40 per cento in meno, così il governo corre ai ripari e dà il via al censimento di aziende e arnie per creare una vera anagrafe certificata
Per salvarle, intanto iniziamo a contarle. Di fronte alla strage delle api il governo Renzi è corso ai ripari istituendo, attraverso la collaborazione dei ministeri dell’Agricoltura e della Salute, la loro anagrafe. Tutto viene censito. Aziende e allevatori, numero delle arnie, compravendite, tracciabilità del miele, e in primo luogo eventuali malattie. Come l’ultima, una micidiale infezione causata dal parassita Aethina Tumida che quest’anno ha reso raro e costoso il miele genuino, la cui produzione nazionale è risultata dimezzata.
LE CAUSE
Le api scompaiono, vittime di quella che gli scienziati definiscono una vera “sindrome dello spopolamento degli alveari”, e il fenomeno, sempre più globale, ha bisogno di essere affrontato con una terapia d’urto, considerando la terribile coincidenza delle cause. La prima è sicuramente l’uso troppo diffuso e generalizzato dei pesticidi abbinato a un inquinamento fuori controllo ed ai cambiamenti climatici, la seconda è invece la malnutrizione degli insetti che così vivono meno, e infine contano le improvvise e misteriose infezioni come nel caso dell’Aethina Tumida. La strage pesa non solo dal punto di vista economico, con un intero settore dell’agricoltura entrato in crisi, ma più in generale per l’equilibrio dell’ecosistema: senza api, infatti, può scomparire quasi un terzo del cibo che consumiamo e ci sarebbe l’estinzione di diverse piante. Ecco perché le contromisure per salvare le api e la biodiversità che garantiscono saranno uno dei temi dell’Expo di Milano intitolata Nutrire il Pianeta.
NEGLI USA
Il primo leader che ha capito la gravità del problema è stato Barack Obama, pressato dalle grandi lobby degli agricoltori americani. Alla Casa Bianca sono arrivati i dossier: il 90 per cento delle coltivazioni del Nord America si fondano sull’impollinazione, l’80 delle mandorle vendute sui mercati di tutto il mondo arrivano dalla California e sono prodotte grazie alle api mentre le arnie si sono ridotte ad appena due milioni rispetto ai nove milioni degli anni Venti. La pressione pubblica è stata martellante, fino a provocare il presidente americano con domande molto efficaci: «Hai salvato le banche e lasci morire le api e la nostra agricoltura?» Obama ha così classificato la strage delle api come una calamità nazionale, e ha messo sul tavolo un pacchetto di interventi, tra i quali un censimento analogo a quello appena introdotto in Italia, per 50 miliardi di dollari. Una cifra che ha fatto felici agricoltori e ambientalisti ed è stata definita come la prima, vera e concreta misura green del presidente americano.
IN EUROPA
La catastrofe americana si somma agli allarmi che arrivano dall’Europa. In Francia, per esempio, i tassi di mortalità degli insetti impollinatori negli ultimi dieci anni hanno superato il 50 per cento. Nel Regno Unito la scomparsa delle api è prevista nel 2020, tra cinque anni. In Italia, dal 2008 il crollo delle api ha toccato il 40% scaricandosi sui fatturati dell’agricoltura locale laddove siamo il terzo Paese al mondo per produzioni legate all’apicoltura. E quest’anno, senza neanche saperlo, saremo costretti al miele cinese oppure di scarsa qualità nutrizionale e con enormi dosi di zucchero.
Mano a mano che le api sono andate scomparendo, all’ombra della strage è cresciuta una piccola industria dell’illegalità. A parte le contraffazioni, si sono infatti moltiplicati i furti delle arnie, diventate oggetti preziosi. Soltanto negli ultimi mesi sono stati rubati oltre 100mila alveari per un valore di decine di milioni di euro: un’arnia, infatti, contiene tra le 15mila e le 90mila api e vale dai 200 ai 400 euro. Un piccolo tesoro, perché ciascun alveare produce in media circa 40 chili di miele, ai quali bisogna aggiungere la pappa reale, il propoli e la cera. Un patrimonio che, auguriamoci, sarà più al sicuro con l’Anagrafe ministeriale e il relativo censimento dei produttori e degli alveari.