il Fatto Quotidiano, 7 aprile 2015
Dopo l’accordo con l’Iran ora Obama scommette su Cuba. Fra tre giorni il presidente americano e Raul Castro si stringeranno la mano attorno al tavolo di Panama. Cade l’ultimo muro delle Americhe, reliquia ammuffita di giochi ormai fuori dalla storia
Fra tre giorni Obama e Raul Castro si stringeranno la mano attorno al tavolo di Panama. Cade l’ultimo muro delle Americhe, reliquia ammuffita di giochi ormai fuori dalla storia. Non succedeva dal 1956, quell’ultimo abbraccio tra il presidente Eisenhower e il generale Batista dittatore de L’Avana appeso ai fili di Washington mentre nell’esilio messicano Fidel Castro preparava la marcia che mezzo secolo dopo ha esaurito le utopie. Finalmente la parola fine.
Finisce la politica del grande paese dalla voce che minaccia; finisce la retorica di un mondo che non c’è più. Prossimo capitolo la cancellazione dell’embargo al quale resistono pattuglie sperdute di repubblicani isolati dalla razionalità di chi pensa agli affari: agrari che pianificano esportazioni, operatori economici e del turismo pronti all’invasione dell’isola ex proibita. E poi i nipoti di chi era scappato dai barbudos nell’illusione di un ritorno che il tempo ha cancellato. La terza generazione dei cubani americani annacqua le rabbie dei padri nell’ipotesi di commerci e vacanze mentre dall’altra parte del mare tramonta il socialismo reale. Addio a Cuba victoria y muerte, piazze del primo maggio che impiccano il fantoccio dello Zio Sam. A L’Avana la gente insegue abitudini normali vicine e lontane, libertà di leggere, scrivere, viaggiare, aprire negozi ma nella comodità del non rinunciare alle protezioni sociali: scuole, università, assistenza sanitaria sulle spalle dello Stato col dubbio che se non ce l’ha fatta Obama anche il loro futuro potrebbe complicarsi. Con Fidel in carrozzella, la Cuba di Raul ratifica la trasformazione. Lunga e complicata dai cavilli di chi non si arrende. La Casa Bianca ha tempo 90 giorni per convincere la maggioranza repubblicana ad accettare l’inevitabile conclusione: Jeb Bush, terzo della famiglia in corsa per la presidenza, spera di gestire il passaggio nell’interesse degli interessi delle multinazionali dal cuore repubblicano anche se buona parte dei suoi senatori si è già arresa alla convenienza del mettersi d’accordo con l’ultimo protagonista della rivoluzione. Il 20 per cento dei discendenti dei profughi d’antan vive in Florida dove i manager e le banche preparano l’opportunità di coinvolgere L’Avana nello sviluppo che stanno disegnando. Fra le quinte dell’ufficialità Obama e Raul si incontreranno a Panama lontani dai curiosi. Non hanno tempo da perdere, mesi contati.
Fra un anno e mezzo il presidente passa le consegne al futuro inquilino della Casa Bianca, mentre nel 2018 Raul lascia la poltrona di famiglia a chissà quale successore, non si sa se nel governo del solito partito unico o di un partito di maggioranza rispettoso delle minoranze. Lo scrittore Leonardo Padura Fuentes racconta l’emozione di questi giorni che aprono la nuova vita ai cubani de L’Avana e di Miami all’improvviso riuniti nell’identità delle diaspore: rifiutano distinzioni fino a ieri armate per impegnarsi nel futuro assieme. Leonardo immagina la fine delle propagande e la concretezza della ragione. L’anti-castrismo è stata la professione dei politici americani che ingrassavano le campagne elettorali; dei giornalisti radio e tv Martì finanziati da ogni Dipartimento di Stato senza contare la resistenza “eroica” delle voci fotocopia nei corridoi de L’Avana. “Da amare o da odiare senza sfumature”. “Basta con la guerra delle parole”. Padura Fuentes non ha mai smesso di sperare mentre i suoi libri fanno il giro del mondo. Per Obama è una scommessa dall’apparenza facile nel paragone del labirinto mediorientale, allarmi da Israele all’Iran, anche se i Netanyahu delle catastrofi immaginarie non mancano fra le comparse latine delle due Americhe. Ma forse la storia sta davvero cambiando.