Libero, 7 aprile 2015
La Turchia opprime minoranze e cristiani, ma fa notizia solo se blocca il web. Perché nessuno si scandalizza per come Erdogan tratta donne, stampa, toghe e altre fedi?
Stai a vedere che l’inafferrabile «mondo del web» ora scoprirà che la Turchia non è molto democratica: questo perché ieri pomeriggio ha bloccato l’accesso a Twitter, Facebook e YouTube (più altri siti) dopo che avevano pubblicato una foto del magistrato preso in ostaggio martedì scorso da due terroristi del Dhkp-C (marxisti leninisti) che poi è rimasto ucciso durante l’assalto delle teste di cuoio.
La scusa ufficiale dei turchi è che il web in questo modo faceva propaganda al terrorismo (Twitter e YouTube dapprima hanno rifiutato di rimuovere la foto) ma quello delle autorità ormai è un vizio: un anno fa fu bloccata la diffusione di alcune denunce per corruzione rivolte contro il governo (durante la campagna elettorale nel marzo 2014) e precisamente dopo che alcuni utenti avevano pubblicato delle conversazioni telefoniche tra il presidente Erdogan e il figlio Bilal. Nello stesso periodo Erdogan aveva attaccato i social network in tv: «Siamo determinati a non lasciare che il popolo turco venga sacrificato a YouTube e Facebook».
Ma gli esempi sarebbero ben di più, visto che la Turchia è il Paese che ha presentato più richieste di rimozione di siti web in assoluto. E stai a vedere che gli internauti ora si accorgeranno che la Turchia è sempre meno occidentale e che però, paradossalmente, i negoziati per l’ingresso in Europa sono ancora aperti. Magari si accorgeranno pure che in Turchia è tornato il velo per le donne, che le minoranze sono discriminate ormai apertamente, che giudici e poliziotti e giornalisti finiscono in galera, che Erdogan si fatto costruire un palazzo megalomane da 800 milioni di dollari, che la libertà di stampa è una chimera: e perché il web dovrebbe fare differenza? Si accorgeranno che la Turchia è nella Nato anche se occhieggia a tutti i nemici dell’Occidente (compresi Iran e Siria) e magari, se faranno una ricerchina su google, si accorgeranno che a opporsi all’ingresso di 71 milioni di musulmani in Europa, per anni, in italia sono stati solo quattro gatti leghisti e comunisti. Troveranno il ministro Frattini che esaltava le fantomatiche «riforme turche», Berlusconi che la buttava sull’amicale-commerciale, il presidente Napolitano che nel 2006 andò ad Ankara e auspicò «l’ingresso della Turchia come Stato membro»: ma quel giorno gli inviati italiani fecero solo domande sul presidenzialismo. E non cambiò nulla per anni, da noi: ancora nel maggio 2012 il premier Mario Monti plaudiva all’ingresso turco nella Ue per solite questioni di mercato. La sinistra taceva. E Renzi? C’è già andato, in Turchia: a parlare d’affari. Ciò che è unicamente sinonimo, in Italia, di politica estera.
Gli smanettoni del web, magari, scopriranno pure che a Istanbul c’è un bellissimo megastore della Nike ma che nelle librerie si fatica a trovare i libri di Orhan Pamuk, il più famoso scrittore turco, già insignito di vari premi internazionali e però accusato di «denigrazione dell’identità nazionale» per quello che aveva scritto sul genocidio dei cristiani armeni. Scopriranno che le donne sono sostanzialmente assenti dalla vita pubblica, e magari stenteranno a credere che pochi anni fa cinque ragazze sedicenni che stavano facendo un bagno in mare con il chador furono lasciate affogare perché la religione islamica proibiva ai bagnini di toccarle. Scopriranno il Paese in cui un cattolico, per legge, non può fare carriera nella pubblica amministrazione; il Paese in cui non vedrete mai, per strada, un prete o una suora: perché l’uniforme religiosa, se non musulmana, è proibita. La Turchia che vorrebbe entrare in Europa nega ai cattolici uno status giuridico, al punto che i medesimi non possono aprire seminari, far carriera e appunto circolare in tonaca.
Ma la vera eresia che ha rinomanza internazionale, ora, è diventata questa: che hanno chiuso per qualche ora Twitter, Facebook e YouTube. Un blocco che peraltro è già stato tolto. In realtà anche molti giornali turchi avevano pubblicato le foto del magistrato poi ucciso, tanto che il primo ministro aveva ritirato a 13 testate il permesso di assistere alla conferenza stampa e ai funerali del magistrato. Il giorno successivo, il 2 aprile, è stata aperta un’inchiesta contro gli stessi giornali. In Turchia si stanno occupando del web e delle nuove libertà, ma di quelle vecchie si sono già occupati da un pezzo.