Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  aprile 07 Martedì calendario

La grande corsa verso gli abissi. La caccia all’oro riparte dai fondali del Pacifico. Una nave mineraria specializzata e attrezzata con le più moderne strumentazioni è stata noleggiata per cinque anni a un prezzo molto vicino ai duecentomila dollari al giorno. L’obiettivo è ambizioso, recuperare circa 1,3 milioni di tonnellate l’anno di minerale

È la nuova corsa all’oro, ma parte dal fondo dei mari. La prima a imbattersi nella ricchezza naturale sommersa fu l’inglese Challenger, addirittura nel 1873. Quella piccola nave partita dalle coste inglesi navigò per oltre settantamila miglia marine scoprendo sul fondo del mare, fra le altre cose, noduli polimetallici composti da ossido di manganese quasi allo stato puro. Da allora tanti altri ci hanno provato, senza mai centrare l’obiettivo, cioè fare soldi estraendo minerali preziosi dal fondo del mare. Così alla fine si è preferito concentrare progetti e denari sulla ricerca dell’“oro nero”, con l’industria petrolifera che dagli anni Settanta ha dato il via, in modo massiccio, all’esplorazione e alla produzione al largo delle coste.
A un secolo e mezzo di distanza, l’estrazione di minerali torna d’attualità. Per la prima volta nella storia, infatti, una nave mineraria specializzata e attrezzata con le più moderne strumentazioni adatte alla perlustrazione dei fondali è stata noleggiata per cinque anni a un prezzo molto vicino ai duecentomila dollari al giorno. L’attenzione è tutta puntata sul progetto Solwara 1, condotto da una società che, guarda caso, ha scelto come nome quello del mitico sottomarino che, al comando del capitano Nemo, percorse ventimila leghe sotto i mari nel racconto fantastico di Jules Verne, il Nautilus. È stata proprio l’autraliana Nautilus Minerals, infatti, a ordinare ai cantieri cinesi Fujian Mawei Shipbuilding la prima di un’ipotetica serie di navi a cui affidare il compito di passare al setaccio ed estrarre oro e rame a una profondità di circa 1.600 metri, al largo della costa nordorientale della Papua Nuova Guinea, nel Mar di Bismarck. Certo, la fortuna dell’operazione dipenderà dai risultati delle esplorazioni nel Pacifico, ma l’impressione è che la stagione delle estrazioni di minerali dai fondali marini stia veramente per partire, con grande preoccupazione di studiosi, biologi marini e associazioni ambientaliste, tenuto conto di quanto invasiva possa essere per l’ecosistema questo tipo di attività.
La nave ordinata ai cantieri cinesi ha dimensioni imponenti, è lunga 227 metri e larga 40, sarà consegnata alla Nautilus Minerals nel 2017 e funzionerà allo stesso modo delle navi utilizzate per l’estrazione petrolifera. Trivellerà cioè i fondali, con strumenti che le consentiranno di estrarre i minerali, li separerà dalla fanghiglia e li caricherà a bordo, prima di trasferirli su una nave appoggio, una bulkcarrier (unità specializzata nel trasporto di rinfuse secche) che li porterà fino a riva. L’obiettivo è ambizioso, recuperare circa 1,3 milioni di tonnellate l’anno di minerale. E questo a partire da quando scatterà ufficialmente l’operazione, vale a dire dal 2018. Secondo i vertici della Nautilus Minerals, oltre il trenta per cento della produzione mineraria potrebbe arrivare in futuro proprio dal fondo dei mari. Una percentuale in grado di rivoluzionare il mercato mondiale dei minerali preziosi – e ovviamente i suoi prezzi – che ha già fatto drizzare le antenne ai grandi gruppi internazionali specializzati in questo tipo di attività. Basti pensare che, sempre secondo le stime della compagnia, dai fondali marini si potrebbe estrarre una quantità di rame dieci volte superiore a quella “terrestre”. Una speranza in grado di alimentare il flusso continuo di finanziamenti necessario per sostenere un simile progetto? Si vedrà. Di certo, la Nautilus Minerals non sarà sola in questa avventura. Al momento, infatti, la International Seabed Authority, che fa capo alle Nazioni Unite, ha concesso ben ventisei licenze di esplorazione su un’area di circa 1,2 milioni di chilometri quadrati di oceani, soprattutto il Pacifico meridionale, a compagnie private e organizzazioni sostenute dai rispettivi governi. Sì, è proprio ripartita la corsa all’oro.