Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  aprile 07 Martedì calendario

Tangentopoli 2.0, le mazzette hanno cambiato forma, nome e veicolo. Niente più buste piene di banconote, valigetta zeppe di contanti o pacchetti di lingotti d’oro: oggi i soldi passano dalle tasche dei costruttori a quelle dei politici con il raffinato sistema delle società miste in cui gli interessi dei corruttori si mescolano a quelli dei corrotti e nessuno, all’apparenza, dà nulla all’altro

Le sconcertanti  ma non sorprendenti rivelazioni che arrivano da Ischia ci raccontano che nella Tangentopoli 2.0 le mazzette hanno cambiato forma, nome e veicolo.
E oggi passano dalle tasche dei costruttori a quelle dei politici con il raffinato sistema delle società miste in cui gli interessi dei corruttori si mescolano a quelli dei corrotti e nessuno, all’apparenza, dà nulla all’altro. Così il politico disonesto può finalmente arricchirsi evitando l’imbarazzante e pericolosa consegna di una busta piena di banconote, di una valigetta zeppa di contanti o di un pacchetto di lingotti d’oro, come usava una volta quando la corruzione era ancora una pratica rozza gestita da tangentari di prima generazione.
Lette oggi con lo sguardo smaliziato di chi ha purtroppo assistito al seguito, le cronache di Mani Pulite assumono il color seppia di un passato remoto fatto di pignatte, gianduiotti, mutande e pouf, e il candore peloso dei colpevoli beccati con le mani nel sacco fa quasi tenerezza, al confronto con il sofisticato cinismo delle finte consulenze e delle società gonfiabili. Altri tempi e altri metodi, simboli di un sistema che non si era ancora evoluto, se così si può dire.
Il primo pensiero va naturalmente al “mariuolo” socialista Mario Chiesa e al suo disperato tentativo di annegare nel water una tangente da 37 milioni per non consegnare ad Antonio Di Pietro le prove dei suoi peccatucci come presidente del Pio Albergo Trivulzio, una scenetta da film comico negata vent’anni dopo dall’imputato (ma confermata dal magistrato). Ma già dieci anni prima – era l’inizio degli anni Ottanta – il faccendiere torinese Adriano Zampini aveva capito che bisognava addolcire il sistema, e dunque consegnava le sue mazzette nelle scatole dei gianduiotti («Non me li ha mai rispediti indietro nessuno, solo un geometra del Consorzio agrario mi rimandò le banconote, ma i cioccolatini se li tenne» raccontò lui stesso ai magistrati). Poi i tempi cominciarono a cambiare, e il costruttore Tommaso Lucchesi rivelò ai pm che il cassiere nazionale del Psi, al quale lui aveva portato 50 milioni di lire in contanti, non aveva battuto ciglio: «S’è tenuto pure la valigetta: era firmata».
Se il problema dei corruttori era come consegnare le bustarelle, quello dei corrotti era come nasconderle. E ognuno si ingegnava a modo suo. Leggendario, ormai, il pouf di cui la consorte del direttore del servizio farmaceutico nazionale Duilio Poggiolini aveva rinforzato l’imbottitura con 10 miliardi di lire in certificati di deposito, perché non c’entravano tutti nel caveau murato nel doppio fondo di un armadio. Meno celebri, ma non meno curiose, le mutande nelle quali un consigliere comunale nascose 20 milioni appena riscossi per accelerare le pratiche di una licenza a Roma. Andò invece malissimo al garante democristiano di una Usl, la cui moglie in un impeto di furore giustizialista gettò dal balcone del quarto piano i 13 milioni di lire da lui incassati per vie traverse.
Poi è arrivato il tempo delle intercettazioni, dei pedinamenti, dei blitz e degli arresti che, nonostante le rare condanne e le rarissime pene detentive, ha consigliato agli operatori del settore nuovi e più raffinati metodi. Così è venuto il tempo degli appartamenti pagati per metà dal politico e per l’altra metà dal corruttore. Si è diffuso il trucco delle bustarelle mascherate da contributi alle feste di partito o alle campagne elettorali. E soprattutto ha preso piede il sistema delle consulenze. Consulenze fittizie, naturalmente, perché una consulenza può essere fatta in mille modi, bastano un consiglio un parere o una dritta, e nessuno potrà dimostrare che non sia mai avvenuta, o che sia stata pagata troppo. Così Sergio Cattozzo, ex segretario dell’Udc ligure ma soprattutto lobbista del costruttore Enrico Maltauro, poteva ottenere 300 mila euro per la sua “consulenza”, in fondo solo una piccola fetta dei due milioni che la cupola degli appalti pilotati di Expo2015 aveva chiesto all’imprenditore, prima che arrivassero i carabinieri a portarli tutti dentro.
E consulenze erano anche quelle che il grande manovratore delle opere pubbliche, Ercolino Incalza, fatturava regolarmente ai costruttori, tre milioni e mezzo di euro in 13 anni, soldi ai quali vanno aggiunti i 691 mila euro pagati a suoi genero come “prestazioni professionali” dal gruppo Gavio, sufficienti per i magistrati a scrivere nell’ordinanza di custodia che “Incalza ha agito in violazione del dovere di fedeltà verso la pubblica amministrazione”, prima ancora che i carabinieri scoprissero, nascosti in una libreria del suo ufficio privato, una busta con duemila euro in contanti e un illuminante foglietto con la sua contabilità occulta.
Adesso, da Ischia, arriva la scoperta del sistema più diabolico: la società mista, una scatola vuota nella quale l’imprenditore e il politico passano dalla complicità al rapporto simbiotico, e se l’affare va in porto ci guadagnano tutti. Il meccanismo, spiegato ai magistrati da Francesco Simone, ex capo delle “relazioni istituzionali” della cooperativa Cpl Concordia, era quasi perfetto: quando c’era un appalto in vista si costituiva una “società di scopo” in cui entravano gli affaristi e i politici (attraverso parenti o prestanome) pagando le loro quote a costi bassissimi. Ma se la società si aggiudicava l’appalto – ottenendo, per esempio, il finanziamento pubblico per la metanizzazione – il valore di quelle quote schizzava in alto. Così quello che era stato pagato 100 poteva essere rivenduto a 100 mila, e chi era stato bravo a ungere le ruote poteva riscuotere il premio. Senza quelle imbarazzanti bustarelle di una volta.