la Repubblica, 7 aprile 2015
Ora Tsipras se la deve vedere anche con il fronte interno. I partner dell’Anel sono contro la legge per la chiusura delle carceri di massima sicurezza. L’ala più radicale di Syriza ha invece alzato le barricate contro l’ipotesi di un accordo al ribasso con i creditori: «Ci trattano come una mezza colonia. Se facciamo retromarcia sarà una Waterloo»
Il braccio di ferro con i creditori non basta. A rovinare la Pasqua ortodossa di Alexis Tsipras ci sono anche le prime difficoltà sul fronte domestico del suo governo. Alle prese con le bizze dei partner di Anel – la destra nazionalista che potrebbe mettersi di traverso alla legge per la chiusura delle carceri di massima sicurezza – con le fibrillazioni di Syriza e con le polemiche su spese militari e ordine pubblico. Una miscela di tensioni che rischia di diventare esplosiva se e quando arriverà in Parlamento l’intesa con l’Eurogruppo sulle riforme, materializzando così lo spettro di elezioni anticipate.
«Sono normali problemi di rodaggio – getta acqua sul fuoco uno degli uomini più vicini al premier – legati alla tradizione di un partito che non soffoca la dialettica». Probabile. Gli incidenti di percorso però si stanno moltiplicando. Le dichiarazioni cacofoniche sul rimborso del prestito al Fondo Monetario («lo ripaghiamo, anzi no» si sono contraddetti diversi ministri) sono solo la punta dell’iceberg. La “Piattaforma di sinistra”, l’ala più radicale di Syriza, ha alzato le barricate contro l’ipotesi di un accordo al ribasso con i creditori. «L’ex Troika e la Germania ci trattano come una mezza colonia – ha ripetuto Panagiotis Lafazanis, ministro dell’energia e leader della corrente –. Se facciamo retromarcia sarà una Waterloo». Un modo un po’ brusco per ricordare a Tsipras che qualsiasi intesa dovrà passare le Termopili del voto in aula, dove 30 deputati di Syriza sarebbero pronti a dire no «se verranno tradite le promesse elettorali». La maretta nel partito preoccupa anche la diplomazia europea che dopo aver chiesto le dimissioni di Yanis Varoufakis (tuttora saldamente in sella), vuol convincere Tsipras – alla faccia del rispetto del voto greco – a rivedere la compagine di governo, rompendo con la sinistra estrema e alleandosi con i socialisti del Pasok e il centro di To Potami.
A far piovere sul bagnato ci sono pure le polemiche sull’ordine pubblico. Gli anarchici nelle ultime settimane hanno occupato alcuni edifici simbolo di Atene – la sede di Syriza, la facoltà di legge e persino il Parlamento – chiedendo la liberazione per motivi di salute di Savvas Xiros, terrorista di 17 novembre. Il governo si è finora rifiutato di far intervenire la polizia. Ma in un Paese dove l’ordine pubblico è un tema caldissimo, la polemica sul mancato utilizzo delle forze dell’ordine – cavalcata dall’ex premier Antonis Samaras – ha iniziato a montare facendo breccia tra le fila dell’esecutivo: «È sbagliato pensare che un governo di sinistra significhi lasciare la Grecia senza difesa», ha detto Yannis Panousis, ministro (indipendente) per i diritti del cittadino. Dando voce, dicono in molti, ai timori di una parte di quegli elettori che il 25 gennaio, pur non essendo di quest’area politica, hanno votato Syriza.
Tsipras è riuscito finora a mettere la sordina alle polemiche. Le prime leggi approvate in Parlamento, con buona pace di Piattaforma della sinistra, sono quelle umanitarie andate di traverso alla Troika. Kammenos, malgrado l’opposizione annunciata «su specifici punti» della legge sulle carceri, non sembra intenzionato ad alzare i toni. E dai pacifisti radicali non si è alzata una voce di protesta contro la decisione del governo di pagare 50 milioni alla Lockheed per ammodernare gli Orion P-3B della Marina (prima tranche di una commessa da 500 milioni). «Spendono più soldi per le armi che per la crisi umanitaria», ha detto sarcastico Stavros Theodorakis, leader di Potami.
I nodi però stanno arrivando al pettine. Tra due-tre settimane il presidente del Consiglio dovrà trovare una quadra tra le promesse elettorali e le richieste dei creditori. E se gli scricchiolii di oggi si trasformassero in un ammutinamento del partito, Tsipras – dice il tam tam ad Atene – potrebbe giocare la carta delle elezioni anticipate per chiedere direttamente ai greci a che condizioni sono disposti a rimanere nell’euro.