La Stampa, 7 aprile 2015
Alla scoperta di Durand-Ruel, il mercante che inventò gli Impressionisti. Celebrato in una mostra a Londra accanto ai capolavori dei suoi protetti. Ne comprò, rischiando, 12 mila in 30 anni: «Alla fine la mia follia è stata saggezza»
A guardare lo sviluppo della storia dell’arte ci si convince sempre più dell’importanza straordinaria rivestita dai mercanti d’arte, del loro ruolo decisivo per la fortuna o sfortuna non soltanto di un artista, ma persino di un movimento e dunque di uno stile. E una cosa è certa: senza Paul Durand-Ruel (Parigi, 1831-1922) non avremmo avuto uno dei momenti pittorici più amati in assoluto come l’Impressionismo.
Sembra difficile da credere oggi, quando Monet e compagni sono artisti venerati da tempo, capaci con la loro pittura di colori e atmosfere en plein air di attirare folle di visitatori in ognuna delle innumerevoli mostre che vengono consacrate al loro gruppo. Ma non è sempre stato così: e questa bellissima esposizione alla National Gallery londinese («Inventando gli impressionisti», fino al 31 maggio) è capace di portarci indietro fino a farci rivedere la storia dall’inizio per svelare, attraverso una selezione di opere note e magnificamente rappresentative, il coraggio e l’intuito di chi ha permesso che venissero dipinte.
Ci sono quadri straordinari come la serie di Monet dedicata ai Pioppi, con la luce del cielo che cambia i colori degli alberi e si rispecchia nell’acqua, i Degas che ci hanno fatto conoscere la modernità di Parigi, incluse le sue iconiche ballerine. E poi il magnifico Ragazzo con spada dipinto da Manet, arrivato in prestito dal Metropolitan di New York, oppure i Renoir arcinoti dedicati alle danze domenicali come Ballo a Bougival. Ottantacinque quadri di primaria importanza prestati da musei e collezionisti privati ed entrati stabilmente nel nostro immaginario, ma la genialità della mostra consiste nel mostrarci questi capolavori da un’altra prospettiva, per la prima volta. Si procede infatti cronologicamente, seguendo le tracce di Paul Durand-Ruel e insieme la nascita progressiva di un gruppo, la difesa sistematica degli artisti, fino al successo.
Si comincia dai primi Anni Settanta dell’Ottocento, entrando nell’appartamento che fungeva da galleria al centro di Parigi. Durand-Ruel aveva ereditato il negozio di stampe di famiglia, si era specializzato nella vendita della scuola di Barbizon, pittori che rispondevano al gusto del tempo, ma presto si accorse dell’eccezionalità di alcuni giovani convinti che non si dovesse soltanto rappresentare la natura, ma piuttosto il particolare momento in cui veniva osservata dall’artista. Con tutti i cambiamenti, anche drammatici, provocati dall’atmosfera, i colori, la luce. Avevano in comune soltanto l’essere rifiutati dai Salon, il nostro li trasformò in un gruppo.
Sembra ovvio adesso che i loro quadri non hanno prezzo, non lo era affatto allora: tra il 1891 e il 1922 Durand-Ruel comprò circa 12 mila opere di Monet, Manet, Pisarro, Degas, Renoir e Mary Cassatt, e per lunghi anni è stato praticamente il solo. Arrivò a sostenere persino le spese mediche dei suoi artisti, o a pagare il conto del sarto quando necessitavano di un vestito nuovo. Si comprendono davvero, vedendo la mostra, le parole di Monet: «Senza Durand saremmo morti di fame, tutti noi impressionisti. Gli dobbiamo tutto».
A Londra, dove si era stabilito fuggendo dalla Comune e dalla guerra franco-prussiana, organizzò continuamente personali e alcune collettive che hanno fatto storia, fino a quella del 1905 alle Grafton Galleries, dove riunì un numero di opere impressionante, 315 per l’esattezza, coronando 30 anni di sforzi. E a emergere con il procedere del percorso espositivo è proprio la modernità del suo metodo, poi adottato da tutti i galleristi contemporanei, come quello di seguire in esclusiva gli artisti, organizzare personali, mandare in tournée estere le opere. E soprattutto sostenere il mercato dei quadri a costo di indebitarsi con le banche pur di non dover svendere.
Durand-Ruel sapeva rischiare: nel 1872 comprò tutte e 23 le opere di Monet restate invendute e le rivendette poi nel tempo, con guadagni che possiamo immaginare. Comprò per mille franchi un Degas, Cavalli davanti alle tribune, rivendendolo poi per 30 mila, una somma che racconta bene una dedizione e un intuito senza pari. Seppe per esempio creare un ambiente adatto – in mostra le porte dipinte da Monet per lui – perché opere che la critica attaccava ferocemente, e i collezionisti sdegnavano, potessero diventare più appetibili. Fu anche tanto intelligente da guardare verso gli Stati Uniti per trovare potenziali clienti, quando tutti consideravano gli americani troppo poco sofisticati per comprendere la pittura europea, figuriamoci l’Impressionismo.
Era ormai arrivato alla fine della sua vita, Paul Durand-Ruel, quando con il giusto compiacimento disse: «Alla fine i maestri dell’Impressionismo hanno trionfato... la mia follia è stata saggezza. E pensare che se me ne fossi andato a sessant’anni, sarei morto pieno di debiti e in bancarotta circondato da tesori sottostimati...».