La Stampa, 7 aprile 2015
In Turchia Facebook, Twitter e YouTube sono diventati inaccessibili a partire dalla tarda mattinata di ieri. A essere stati bloccati sono stati circa 120 siti che hanno pubblicato la foto di Mehmet Selim Kiraz, il magistrato ucciso dai due terroristi del Dhkp-C. La scure di Erdogan sui social network
In una Turchia sempre più sotto pressione, sempre più destabilizzata e a due mesi da elezioni politiche chiave per il futuro del Paese, non poteva mancare la stretta sui social network. Ieri Facebook, Twitter e YouTube sono diventati inaccessibili a partire dalla tarda mattinata. Non si è trattato di un blocco simultaneo, ma dipendente dai vari provider, in ogni caso già dalle prime ore della mattina migliaia di utenti lamentavano rallentamenti quando non totale incapacità di collegarsi.
Quel che è certo è che a essere stati bloccati sono stati circa 120 siti che hanno pubblicato la foto di Mehmet Selim Kiraz, il magistrato fatto ostaggio nel suo ufficio al tribunale di Caglayan di Istanbul da due terroristi del Dhkp-C e rimasto ucciso nel blitz delle forze speciali turche che teoricamente avrebbe dovuto liberarlo. L’immagine del volto del giudice terrorizzato, con la pistola puntata alla tempia, ha fatto il giro del mondo. L’attacco alla sede dell’Akp, il partito del presidente Recep Tayyip Erdogan, e quello alla questura centrale di Istanbul del giorno dopo hanno mostrato la Turchia in tutta la sua fragilità, proprio quando avrebbe bisogno di unità interna e sicurezza, vista la minaccia del terrorismo islamico dell’Isis che preme sui confini.
Nel primo pomeriggio, Facebook ha ripreso a funzionare, ma solo perché ha rimosso l’immagine per la quale la settimana scorsa quattro quotidiani, fra cui «Hurriyet», non avevano potuto partecipare ai funerali del magistrato, finendo anche sotto inchiesta. Nel tardo pomeriggio è arrivata la notizia che anche Twitter sarebbe stato riaperto per lo stesso motivo.
I precedenti
Anche se i social network in Turchia sono stati banditi altre volte, questa assume un significato particolare. Se nel 2007 e nel 2014 YouTube e Twitter erano stati oscurati perché contenevano rispettivamente video con oltraggi a Mustafa Kemal Ataturk e materiale su attività corruttive dell’Akp, il partito islamico-moderato dell’allora premier Erdogan, questa volta nel blocco sono interessati altri 166 siti che hanno pubblicato la stessa foto. Se si considera la legge su internet approvata nelle scorse settimane, sembra quasi la prova generale di una censura generalizzata, il segnale che il governo è pronto a far chiudere un sito, anche un importante social network come Twitter, in presenza di contenuti non graditi.
Verso le elezioni
Una morsa, quella sulla stampa, che diviene tanto più stringente quanto più si avvicinano le elezioni. L’Akp, il Partito islamico-moderato per la Giustizia e lo Sviluppo, questa volta ha necessariamente bisogno di conquistare i due terzi dei seggi, senza i quali non potrà cambiare la costituzione e assicurare una riforma in senso presidenzialista. Il Partito Hdp, il Partito curdo, fino a questo momento sembra la formazione politica in grado di impensierire maggiormente il partito del presidente Erdogan, con tutto quello che ne deriva a livello di stabilità interna.
Giornalisti nel mirino
Negli ultimi mesi almeno 80 dei giornalisti più in vista del Paese hanno perso il loro posto di lavoro. Domani, la giornalista olandese Frederike Geerdink, sarà processata a Diyarbakir, nel sud-est del Paese, per associazione a organizzazione terroristica, ossia al Pkk, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan. Segno che le pressioni sui media non sono più ristrette a quelli nazionali.