La Stampa, 7 aprile 2015
Sulla scelta del sostituto di Delrio proprio Renzi, il presidente decisionista, sta rivelando un’indole riflessiva, quasi a voler smentire i detrattori che, nel campo delle nomine, lo accusano di privilegiare l’effetto-che-fa rispetto alla sostanza. Il fatto è che il Rottamatore vuole arrivare a fine legislatura
È da diciotto giorni che Matteo Renzi riflette. Soppesando, con una cura inconsueta, pro e contro dei diversi candidati al ruolo di sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Curioso contrappasso: proprio Renzi, il presidente decisionista, sta rivelando un’indole riflessiva, quasi a voler smentire i detrattori che, nel campo delle nomine, lo accusano di privilegiare l’effetto-che-fa rispetto alla sostanza, la velocità rispetto al merito. Ma il presidente del Consiglio, pur sapendo bene che un sottosegretario alla presidenza non cambia la vita ad un governo – soprattutto ad un governo centralizzato come il suo – si sta prendendo tutto il tempo necessario, anche perché vuole una squadra agguerrita, che sia pronta a durare a lungo: ancora per due anni e nove mesi. Una squadra per il lungo sprint finale. Negli ultimi tempi Renzi lo ha spiegato ai suoi e non per farlo sapere all’esterno: «Si punta a restare fino alla fine».
In parole povere sino al termine della legislatura.
Nel corso dei mesi Renzi, intimamente e senza mai darne conto pubblicamente, ha via via affinato la sua mission e ora è attestato sul governo lungo, a meno che i suoi avversari non gli offrano sul piatto d’argento l’assist per uno scioglimento anticipato delle Camere. La scommessa di fondo è quella di incrociare la ripresa, nel frattempo implementando il volume delle riforme. In questa ottica è bene non sbagliare anche una scelta di staff, come quella del sottosegretario alla presidenza. Dal punto di vista formale, un incarico politicamente non rilevante. Al sottosegretario spetta principalmente la funzione di segretario del Consiglio dei ministri e quindi l’incarico di curare la verbalizzazione delle riunioni. In realtà molto dipende dalle deleghe che, di volta in volta, gli vengono conferite dai diversi presidenti del Consiglio.
Nel passato sono stati sottosegretari alla presidenza personaggi di peso, non a caso poi diventati capi dello Stato (Oscar Luigi Scalfaro), o presidenti del Consiglio (Giulio Andreotti, Giuliano Amato, Enrico Letta) e dunque molto dipende dalla “interpretazione” che ognuno dà del ruolo. Anche nel recente passato si sono alternate diverse declinazioni. Quella da “dominus maximus”: è il caso di Gianni Letta (con Silvio Berlusconi disinteressato alle questioni di palazzo); l’interpretazione tecnico-amministrativa: è il caso di Filippo Patroni Griffi (con Enrico Letta); l’interpretazione politica, come nel caso di Letta junior con Romano Prodi. Da un anno il vero braccio destro del premier è il fiorentino Luca Lotti, già uomo di fiducia a palazzo Vecchio ed apprezzato da Renzi per il tempismo, l’intuito politico, l’indiscussa lealtà al leader. Con una delega importante (l’Editoria) che però gli lascia il tempo di istruire politicamente diversi dossier, Lotti se fosse nominato sottosegretario potrebbe essere assorbito da incombenze amministrative che finora ne hanno sconsigliato la scelta. Al momento lo schema di gioco preferito da Renzi sembra quello di lasciare a Lotti la massima libertà formale e di assegnare al sottosegretario – sarebbe una novità – un ruolo non fiduciario: di qui le ipotesi di Valeria Fedeli, vicepresidente del Senato, mai stata renziana ma con un ottimo rapporto personale con Maria Elena Boschi; o del romano Claudio De Vincenti, viceministro allo Sviluppo economico (già di area Bersani).
Del sottosegretario e del ministro da riassegnare all’Ncd si riparlerà a fine settimana, ma nel frattempo Renzi ha “puntato” la minoranza del suo partito che in Liguria, incurante del risultato delle Primarie, ha deciso di appoggiare Luca Pastorino, appena uscito dal Pd, nella corsa alla presidenza della Regione. Renzi spara a zero; «Pur di far male al Pd, preferiscono consegnare la Liguria a Forza Italia: altro che ditta, quando perdono scappano! Se pensano di trasformare la Liguria nella ridotta di Tafazzi, si accomodino, noi faremo la battaglia a viso aperto».