Il Messaggero, 3 aprile 2015
«Il revers deve essere nove centimetri. Il risvolto dei pantaloni quattro e mezzo». Le regole del maestro tagliatore della gran sartoria Caraceni per un abito perfetto
L’arte è nelle mani che tagliano senza sbagliare di un millimetro. La classe è nelle dita che disegnano linee col gesso, o cuciono con maestria le migliaia di punti che servono per costruire un abito su misura. L’occhio serve per captare l’armonia da dare al tutto. La grande sartoria maschile è una specie di wunderkammer, un luogo magico, dove si trasmette una sapienza antica e si seguono regole e geometrie quasi immutabili. Dove l’eleganza è una missione. Questa atmosfera di sobrietà e stile è tangibile a Roma, in Via Campania, a due passi da Via Veneto: qui dal 1964 ha il suo quartier generale la storica sartoria di Tommy e Giulio Caraceni. Una delle più famose d’Italia e del mondo. Il nome sull’etichetta e lo stemma sulla targa sono quelli dei due celebri fratelli, anche se il secondo è scomparso e il primo si è ritirato dall’attività. Ora sono Giancarlo Tonini, “tagliatore” principe e Guido Sinigaglia, genero di Tommy, a guidare la schiera di sarti che lavorano nei laboratori. Una meraviglia fatta di aghi, fili, forbici giganti e taglientissime, ferri da stiro da sollevatori pesi. E vestiti perfetti. Un frac accoglie sul manichino all’ingresso. Giacche e pantaloni in tessuti gessati, grisaglie, tasmania, cashmere, vigogna stanno sulle grucce, pronti per le prove. I cartellini portano i nomi di presidenti della Repubblica, industriali, manager, diplomatici, divi. Alle pareti schizzi, bozzetti, illustrazioni e foto raccontano la “house of fame": carrellata di illustrissimi personaggi che hanno affidato il proprio stile all’atelier romano.
TRADIZIONE
È Giancarlo, per tutti Carlo, Tonini a raccontare la storia della famiglia Caraceni, sinonimo di eleganza maschile nel globo. È indissolubilmente legata alla sua vita. Per tutti Carlo Tonini è il maestro “tagliatore”. Innamorato cotto del proprio lavoro. «Sono nato a Fossombrone nel 1936. Ho cominciato a lavorare a dodici anni. Ora sono a capo, in società con Guido, di questa Casa storica e sono intenzionato a portare avanti tradizione e nome». Ha un solo cruccio: «I giovani non vogliono fare gli artigiani. Lancio un appello: è un mestiere bellissimo. È vero, ci sono state notti in cui non ho dormito per impostare prove. Per finire un tight non abbiamo chiuso occhio, ma lo sposo è andato all’altare. Un po’ di sacrificio fa parte del mestiere. Ma ho girato mezzo mondo. Conosciuto gente splendida». I ragazzi presentano curricula. «Escono dalle scuole. Ma è sul campo che si impara il mestiere». Carlo Tonini è un artigiano vero. «La parola viene da arte, sa? È il tagliatore che fa la sartoria. Non usa solo le forbici. Riceve il cliente, consiglia, sceglie tessuto e foggia. Assiste alle tre prove: anche di più fino alla perfezione». Il pret-a-porter moderno è firmato, pubblicizzato, ben fatto, eppure sono molti preferiscono venire in sartoria. Eccome. «Questo è il “belvestire”. Gli artigiani amano il proprio lavoro e trasmettono il sapere alla clientela. I vestiti di boutique sono per tutti uguali, i nostri personalizzatissimi. Non è la persona che veste la giacca, è la giacca che veste la persona. Capito?» Riconosce un abito fatto da voi? «Gli abiti Caraceni sono inconfondibili, quando vedo una giacca in tv dico quella è mia. Le nostre spalle sono morbide, mai rigide, e rendono bello il fisico. Non passano mai di moda, guardi quelle foto nessuno sembra “antico"».
"Morbidezza, leggerezza, flessibilità”, diceva il capostipite Domenico a proposito dello stile italiano. E ha impostato una “scuola” che ha attirato il mondo. Nelle foto ci sono presidenti: Ciampi, Chirac, Sarkozy. Divi americani: Tyron Power, Alan Ladd, Clark Gable, Cary Grant. In un mix che segna epoche e storie ecco: Gianni Agnelli, Gianni Letta, Vittorio De Sica, Sgarbi, Mario D’Urso, Della Valle, Montezemolo. Rascel prova su uno sgabello. Zubin Mehta posa col frac. Valentino Garavani firma una dedica devota. Immagini di Dorelli, Aznavour, Pino Lancetti, si mescolano a quelle di Catherine Spaak e Margaux Hemingway. Intere pareti di affezionati.
LE ORIGINI
«Sono i primi del ’900 quando Domenico Caraceni, a quindici anni, parte da Ortona a Mare, Abruzzo, per lavorare da un sarto a Roma». Finito l’apprendistato diventa “tagliatore” e poi di “primo tagliatore”. La fama cresce, i suoi abiti si riconoscono per la modellatura che sottolinea la figura, per il taglio perfetto. Caraceni è già un mito. Nel 1926, Domenico apre un atelier in via Boncompagni. I clienti arrivano a frotte, tanto che deve chiamare i fratelli Augusto e Galliano. La sartoria pullula di star, di aristocrazia. I potenti del Regime, Ciano, i figli di Mussolini fanno parte della schiera. Il Duce, di abiti, ne ordina uno. Tra i clienti c’è il principe di Galles. La corte inglese si indigna. Nel 1926 Domenico apre in via Boncompagni. Nel 1933 dà alle stampe un libro con la sua “scienza” vestimentaria. Muore nel 1939, lascia tutto al figlio Augustarello, digiuno di sartoria. I fratelli di Domenico continuano l’attività in varie sedi, a Milano ci sono Augusto e il figlio Mario. A Roma Galliano con i figli Tommy e Giulio. Simonetta, nipote di Domenico, cede il marchio a un sarto che però non può usare il nome Caraceni per il pret-a-porter. Passa il tempo, le regole auree della gran sartoria Caraceni restano le stesse. Eccole, citate da Carlo Tonini: «Il revers deve essere nove centimetri. Il risvolto dei pantaloni quattro e mezzo». Gli abiti più richiesti sono blu o grigi, il tre bottoni è un best seller. «Non sono carissimi. E durano una vita», dice Carlo Tonini e sogna giovani che, come lui, siano colti da passione per questo mestiere altissimo e questa “bottega” di eccelso artigianato.