Libero, 3 aprile 2015
Nonostante abbia cinquemila cassintegrati Alitalia vuole assumere. La compagnia aerea preferisce risparmiare gli 8mila euro per ogni nuovo ingresso previsti dal Jobs Act piuttosto che riportare al lavoro gli ex dipendenti sussidiati
Effetti collaterali del Jobs Act: per un’azienda, infatti, diventa più conveniente assumere giovani che non riassorbire il personale in cassa integrazione. Risultato: i contribuenti pagano due volte. La prima per finanziare gli ammortizzatori sociali e la seconda per pagare gli sgravi contributivi triennali previsti dalla Legge di Stabilità come corollario della riforma del lavoro.
A rendersi protagonista di questo nuovo assalto alle casse pubbliche è, tanto per cambiare, Alitalia. La compagnia, adesso di proprietà degli arabi di Etihad, si appresta ad assumere tra i 250 e i 260 lavoratori nel settore dell’handling (assistenza a terra) anche per far fronte all’aumento del traffico caratteristico della stagione estiva. Lo segnala l’agenzia Agi riferendo di fonti sindacali mentre il quartier generale della compagnia si limita a un secco «no comment».
L’operazione avviene in parte con nuovi ingressi e in parte con la regolarizzazione di circa 150 contratti a termine che diventerebbero a tempo indeterminato. Per ogni dipendente l’azienda ha un risparmio di ottomila euro l’anno e, comunque, la possibilità di licenziarlo fra tre anni se la situazione del traffico aereo non dovesse stabilizzarsi. I sindacati, però, non sono d’accordo: vorrebbero privilegiare i lavoratori attualmente in mobilità, ma l’azienda non pare disponibile.
L’amministratore delegato, Silvano Cassano, sabato scorso al Forum di Confcommercio di Cernobbio, dedicato proprio al turismo, aveva sottolineato che per far crescere il flusso dei visitatori «serve una compagnia di bandiera forte».
Proprio per questo aveva ribadito che i 700 milioni di investimenti previsti nei prossimi tre anni saranno indirizzati per metà sulla flotta. Il 29 marzo sono partiti i collegamenti da Venezia e Milano ad Abu Dhabi, il primo maggio quello da Milano a Shanghai a cui seguiranno Pechino e Seul.
Piani molto ambiziosi che, tuttavia non possono far dimenticare le condizioni di assoluto privilegio in cui sono stati posti i dipendenti della compagnia messi in cassa integrazione. L’ultimo scandalo riguarda 36 piloti. Avevano ottenuto da 3 a 11mila euro al mese per stare a casa. In realtà lavoravano per altre compagnie asiatiche con un altro maxi stipendio dai 13 ai 15mila euro al mese. Il danno per l’Inps è stato valutato intorno ai 7,5 milioni. Ma soprattutto l’incidente ha riaperto le polemiche sui privilegi di cui godono gli ex dipendenti Alitalia anche ora che sono fuori dall’azienda. La cassa integrazione ai dipendenti di Alitalia è stata attivata dal 2009 e resterà in vigore sino al 2018. Una così lunga durata è in contrasto con le norme istitutive degli ammortizzatori sociali e con le regole della concorrenza in un settore come quello aereo, dove la competizione gioca un ruolo decisivo.
Con un atto di responsabilità (una volta tanto) il sindacato ha chiesto di rimettere a lavorare il personale in esubero. Alitalia, preferisce, a quanto pare, assumere: la decontribuzione, infatti, è un risparmio per la società. La cassa integrazione, invece, è a carico dei contribuenti e dei viaggiatori che pagano tre euro per ogni biglietto.