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 2015  aprile 03 Venerdì calendario

Luna Rossa, il gioco finisce qui. Patrizio Bertelli amareggiato: «Via dalla Coppa America, eravamo avanti e così loro cambiano la barca: un abuso. Non c’entrano i trucchi, ora siamo alla giungla»

Non gioco più, me ne vado. «Con la Coppa America ho chiuso. Definitivamente».  Patrizio Bertelli ha appena riunito il team Luna Rossa sul molo Sabaudo, nel porto di Cagliari. Ci ritiriamo, ha detto alle 90 persone che fino a ieri hanno lavorato ventre a terra per tenere a galla un antico sogno più volte accarezzato: vincere l’America’s Cup a Bermuda, nel 2017, strapparla dalle grinfie di quel filibustiere del defender, Oracle, e portarla in Italia. «Dallo skipper, al cuoco, all’ultimo dei progettisti, sono tutti con me. A nessuno piace essere preso in giro. Non si può rincorrere sempre il compromesso del compromesso del compromesso. Complimenti per la coerenza, mi hanno detto».
Il patron è insolitamente pacato. Né fuoco né fiamme, solo legittimo scoramento. Che la Coppa America non sia mai stato un gioco per signorine, si sapeva. Ma così oltre i confini, non si era mai andati. Regole di classe stravolte in corsa con la scusa del taglio dei costi, a maggioranza e non all’unanimità, come prescrive il Protocollo: «Un abuso di diritto inaccettabile». Nel giugno 2014, archiviati i mostruosi Ac72 (che sulla coscienza si portano la morte di Andrew Simpson del team Artemis), Oracle e i challenger avevano optato per un catamarano di 62 piedi, che Luna Rossa stava disegnando e sviluppando con grande soddisfazione.
«La verità è che noi eravamo più avanti e gli americani nemmeno erano partiti. E allora cosa fanno? Cambiano la barca!». Quarantotto piedi (14,5 m), scafo, albero e ala rigida uguali. Quasi un monotipo: la differenza la faranno pinne e appendici. «Gli abbiamo detto che sotto i 55 piedi non potevamo scendere, perché avrebbe significato buttare via tutto nostro il lavoro». Ma il defender – Larry Ellison più il suo braccio armato, Russel Coutts –, ha pelo sullo stomaco. E, convinti gli altri challenger, ha fatto fuori Luna Rossa. Che senso ha partecipare sapendo di aver già perso? «Gli americani il barchino l’hanno già fatto, è da due mesi che sono in acqua. Qui non c’entrano più niente le maialate, i trucchi, le furbizie che in Coppa America ci sono sempre state. Qui siamo andati oltre. È una giungla, tutti contro tutti. Così, io non ci sto».
Cala il sipario, con mestizia, su una regata per la quale Luna Rossa salpò nel lontano 1999, altre barche, altro skipper, altro mondo. Vinta subito la Vuitton Cup (bei tempi), Bertelli ha lanciato quattro arrembaggi alla vecchia brocca d’argento, sedotto dal suo fascino.
«Quella del 2017 doveva essere la nostra coppa, quella da vincere – dice oggi con l’amaro in bocca di chi sa di non aver potuto giocare ad armi pari –. Stavamo facendo un grande lavoro, che presto presenteremo in una conferenza stampa. Ma non si può correre dietro all’infinito a questo ambiente che definire antisportivo è poco».
Max Sirena, l’ex ragazzo di bottega promosso skipper a San Francisco da Bertelli, è sotto choc. Più furibondo o frustrato non saprebbe dirlo nemmeno lui. Con il patron, ha scelto di non presentare ricorso: «Oracle non ha ancora istituito la Corte Arbitrale prevista dal Protocollo. E in ogni caso, di sei giudici, quattro li avrebbe decisi il defender. Assurdo!». A dar battaglia, invece, saranno i kiwi di Team New Zealand, storici alleati di Luna Rossa, appena scippati delle regate di Auckland: «Sono veri marinai, dipendono dalla vela e dai fondi del governo. Pur disgustati, continueranno».
A casa, insieme ai nostri sogni, vanno Luna Rossa (i contratti saranno rispettati) e le ambizioni veliche del signor Prada, fin qui il più longevo armatore italiano che ha partecipato alla Coppa America. Addio regate di Cagliari a giugno, e arrivederci Luna.
Se era una spending review, il taglio sanguina. «Solo una decisione netta potrà porre le basi per un futuro di legalità e rispetto dei diritti sportivi». Però, accidenti, fa male.