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 2015  aprile 03 Venerdì calendario

La California senza acqua è irriconoscibile. Brutta, marrone, rugosa. È stato un inverno catastrofico: niente neve, niente pioggia. E il caso diventa politico. Per la prima volta nella storia, forniture razionate per salvare le fattorie

Una sete così non si era mai vista. La California è irriconoscibile. Brutta, marrone, rugosa. È stato un inverno catastrofico: niente neve, niente pioggia. Gli scienziati scrutano i grafici delle precipitazioni e concludono: ecco gli effetti del cambiamento climatico. Altro che 2025 o 2030, ci siamo già in mezzo. Per la California è la siccità più grave della storia. Il governatore Jerry Brown, 77 anni tra qualche giorno, Partito democratico, si fa intervistare dalle principali catene televisive del Paese, in maniche di camicia, mentre mostra il terreno argilloso e suda preoccupazione. È il contesto necessario per far digerire ai suoi concittadini ed elettori le brutte notizie in arrivo: le forniture di acqua saranno ridotte del 25%, con decorrenza immediata.
Il governatore conosce a fondo il suo Stato. È nato a San Francisco, suo padre ricoprì la stessa carica. Lui stesso è al secondo mandato: il primo durò dal 1989 al 1991. Tutto questo per dire che Brown sa bene che cosa evochi la parola «acqua» in California, lo Stato che produce ogni anno il 20% della ricchezza americana.
Certamente hanno ragione gli esperti del meteo, quando mostrano il record negativo delle precipitazioni. In particolare risulta cruciale il livello del manto nevoso nella Sierra Nevada. In questa stagione di solito è profondo circa un metro e mezzo. Il primo aprile, Frank Gehrke, il capo del «Programma per il controllo del livello nevoso in California» si è fatto riprendere nel distretto di Phillips mentre procedeva alla misurazione, accompagnato dall’onnipresente Brown. Risultato della rilevazione: zero centimetri. In tutto lo Stato le riserve di neve sono pari solo al 6% rispetto allo standard normale. Ed è a questo punto che lo scienziato si arrende e passa il problema al politico.
Lo sviluppo del territorio riflette lo smodato ottimismo e lo slancio edonistico dei californiani. Lunghi e verdeggianti campi da golf in mezzo al deserto; prati e giardini curati maniacalmente. Perfino i cimiteri sono ridondanti di palme e di aiuole. Poi c’è l’agricoltura, padrona assoluta della Central Valley e ci sono i grandi vigneti del Wine Country nella zona settentrionale. Circa il 40% della frutta e della verdura e più del 90% del vino in vendita sui mercati degli Stati Uniti proviene da qui. La Central Valley sta all’agroindustria americana come la Silicon Valley sta alla tecnologia del Paese. Basta questa equazione per comprendere perché la siccità californiana sia una questione nazionale e perché il razionamento dell’acqua sia un problema politico.
Il governatore Brown deve tenere insieme le esigenze dei «farmers» e quelle degli operatori turistici, per esempio. Ma non basta. La domanda di acqua varia in modo significativo tra una città e l’altra. I cittadini di Santa Cruz sono tra i più parchi: nel mese di gennaio hanno utilizzato una media di 46 galloni, 174 litri al giorno. Quelli di Coachella Valley, nel Sud, nello stesso periodo ne hanno consumato 874 litri. Il clima del Nord favorisce qualche risparmio. Così San Francisco è più virtuosa della meridionale Santa Fe. In diverse metropoli sono già in vigore misure per contenere gli sprechi. A Los Angeles, per esempio, fin dal 2009 è vietato bagnare i prati più di tre volte alla settimane.
Il piano del governatore Brown tiene conto di questa frammentazione. Il taglio del 25% verrà gestito da 400 agenzie che riforniscono il 90% della popolazione. Le restrizioni saranno graduate sulla base dei bisogni e della rilevanza della domanda. Ai cittadini verrà chiesto di dare meno acqua ai prati e di rimandare i lavaggi dell’auto. Verranno comminate multe solo nei casi di violazione più ostinata. L’approccio morbido, secondo il governo locale, dovrebbe evitare i conflitti, salvaguardando il grosso della produzione agricola.