Corriere della Sera, 3 aprile 2015
Obama riscopre Nixon e lancia il quintetto che dovrà vincere l’Isis. Il presidente Usa punta su Iran, Egitto, Arabia Saudita e Israele
A volte è solo questione di un «sì» o di un «no». La giornata e la notte di Barack Obama sono rimaste appese alle notizie in arrivo da Losanna. Nella trattativa più complicata dell’ultimo decennio era arrivato il momento in cui tutto si semplifica. Drammaticamente.
Nelle parole del presidente si coglie il sollievo e anche il senso di una rivincita politica. «Gli scettici dicevano che avremmo fallito, che non ci sarebbe stato alcun accordo con l’Iran». Invece ora c’è un testo, ci sono degli impegni «che soddisfano gli obiettivi degli Stati Uniti» e, soprattutto, c’è una prospettiva nuova.
Nelle ultime settimane si è rivisto l’Obama delle origini. Almeno sul quadrante medio-orientale. La forza del dialogo al posto dei marines. Le pressioni economiche e diplomatiche invece delle «esercitazioni» condotte dalle portaerei nel Mediterraneo. Il presidente ha resistito alla tentazione di sbaraccare il negoziato di Losanna; ha respinto gli attacchi della destra repubblicana, già in piena campagna elettorale; ha fatto finta di non avvertire le perplessità che arrivavano anche da alcuni settori del suo partito.
«Sì» o «no». Tutto o niente. Almeno per ora, il risultato gli dà ragione. Gli esperti di tutto il mondo stanno già sottolineando le debolezze e le ambiguità del memorandum siglato con una stretta di mano tra il segretario di Stato americano John Kerry e il ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif. Ma quel pezzo di carta e quella stretta di mano entrano nella storia.
Obama si è spinto a paragonare il momento ad altri passaggi capitali per gli Stati Uniti e per l’intero pianeta. Lui, quintessenza dello spirito progressista americano ha citato i «falchi» repubblicani più celebri degli ultimi quarant’anni: i presidenti Richard Nixon e Ronald Reagan. «Hanno concluso accordi fondamentali per il disarmo nucleare con l’Unione Sovietica, un avversario molto più pericoloso dell’Iran. Quegli accordi non erano perfetti, ma resero il mondo più sicuro».
Il presidente prova a concretizzare un disegno ambizioso, che finora, a dire il vero, si è dimostrato velleitario. Tenere insieme gli opposti, convincerli che esista almeno una priorità comune: sconfiggere l’Isis, lo Stato islamico. Il leader della Casa Bianca ha appena scongelato le forniture di armi destinate all’Egitto, nonostante il presidente Abd al-Fattah al-Sisi prosegua nella repressione dei Fratelli musulmani.
Ieri Obama ha telefonato al più «scettico» di tutti, il premier israeliano Benjamin Nethanyahu. Poi ha chiamato il re saudita Salman bin Abdul Aziz. Iran, Egitto, Arabia Saudita, Israele. È questa la nuova infrastruttura che, secondo la Casa Bianca, dovrebbe sconfiggere l’Isis e aprire una nuova fase, «un mondo più sicuro».
È una prospettiva credibile? Il governo israeliano ha fatto subito sapere che «l’intesa di ieri è scollegata dalla realtà» e il Congresso americano dovrà comunque ratificare l’eventuale accordo finale con l’Iran previsto per giugno. Per l’Obama delle origini le difficoltà e le incognite sono ancora tante.