Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  aprile 03 Venerdì calendario

Il malaffare Expo dalla Moratti a oggi. E ora Milano deve pensare a come accogliere quei venti milioni di turisti che faranno girare i tornelli dell’Esposizione

Tra 28 giorni esatti, alle 10 di mattina, cominceranno a girare i tornelli dell’Expo 2015. Cosa vedranno i primi visitatori? Milano deve prepararsi a una memorabile figuraccia internazionale, come molti hanno pronosticato in questi giorni? O viceversa saprà affascinare e coinvolgere, come sperano tutti coloro che sull’Expo hanno rovesciato secchiate di ottimismo, anche quando le circostanze lo avrebbero sconsigliato? Chi ha osservato con i propri occhi l’evoluzione dei cantieri sul sito di Rho-Pero e chi ha ascoltato ancora ieri sera le rassicurazioni motivate del commissario Giuseppe Sala, così convinto di poter presentare al pubblico una confezione completa dell’Expo da addebitare esclusivamente a se stesso la responsabilità di un esito diverso, sa che, il 1° maggio, Milano sarà sostanzialmente pronta. I visitatori – come ha garantito Sala – vedranno tutto quello che si attendono di vedere. Quel che resterà da fare, sarà negli spazi non aperti al pubblico (gli uffici di Palazzo Italia, l’auditorium), o, negli allestimenti interni di qualche padiglione straniero, sarà camuffato dietro una quinta mobile. Poca cosa.
Ma basterà questo per definire l’Expo un successo? Non ne è convinto chi aveva scommesso su un’Expo “alta”, capace di sviluppare il dibattito sulla nutrizione della Terra con le piante, le coltivazioni, le serre più che con il vetrocemento dei padiglioni. Non ne è convinto chi aveva proposto un’Expo diffusa, che dilagasse in mille spazi della città più che concentrarsi su un’area da “infrastrutturare” e riempire di impalcature. Ma poi si è passati oltre, il format è stato ampiamente rivisto e Sala ne ha messo a punto una versione “sostenibile” perlomeno dal punto di vista dei bilanci, visto che tra il 2008 – l’anno in cui Milano si è aggiudicata il Grande Evento – e oggi c’è di mezzo la più drammatica crisi economica della storia. E oggi parliamo di “questa” Expo, non di quella che avrebbe potuto essere.
Al netto di come si presenterà “questo” sito espositivo, Milano dovrà dimostrare di poter reggere l’urto di una ventina di milioni di turisti distribuiti sui sei mesi, dovrà accoglierli nelle sue strutture ricettive, trasportarli su e giù con tempestività ed efficienza, offrire loro eventi culturali, sportivi e ricreativi anche dentro la cinta daziaria. E tutti sanno che la sfida non è di quelle che favoriscono il relax degli amministratori della città.
Pure ammesso che anche questa sfida, alla fine, sia vinta, ci sono un prima e un dopo che non potranno essere trascurati al momento di tracciare il bilancio conclusivo dell’avventura milanese. Il prima è come si è arrivati fin qui: il caos gestionale, le lotte di potere, l’indecisione e i ritardi accumulati nell’epoca in cui la città e l’Expo erano governati da Letizia Moratti. La necessità imprescindibile – che l’efficienza milanese si era ripromessa di evitare – di ricorrere alle procedure straordinarie, alle deroghe, ai commissari per sbloccare l’impasse e recuperare quei ritardi (ritardi che, naturalmente, generano ingenti extracosti). La corruzione, che di quelle procedure straordinarie è discendente diretta, e che ha allungato i suoi tentacoli fino al quartier generale di via Rovello: almeno un paio dei più stretti collaboratori di Sala sono finiti travolti dalle inchieste, uno di loro ha appena patteggiato una pena di tre anni. Milano ha avuto parecchio tempo, dalla primavera del 2008 a oggi, per dimostrare che anche in Italia esiste un modo per organizzare un Grande Evento senza ricorrere alle deroghe e alle procedure straordinarie e per impermeabilizzare gli appalti e i lavori dal prevedibilissimo assalto del malaffare. Non ci è riuscita.
E poi c’è un dopo, anche questo figlio della scelta sconsiderata – della Moratti – di organizzare un Grande Evento pubblico su terreni privati. Quei terreni li si è dovuti comprare a caro prezzo (dalla famiglia Cabassi e dalla Fondazione Fiera di Milano) e dopo parecchi anni ancora nessuno sa come pagarli. Perché il 1° maggio, quando gireranno i tornelli dell’Expo, non solo non si saprà che ne sarà di quei terreni, chi e cosa ci costruirà, quanto verde resterà, chi li frequenterà in un futuro ancora lontano, ma non si saprà neppure chi dovrà vagliare i progetti, che peraltro ancora non ci sono. Anche qui: sette anni non sono bastati per trovare un futuro per quell’area, che la crisi immobiliare ha reso sostanzialmente invendibile (e questa volta la responsabilità non è solo della Moratti ma anche dell’amministrazione che le è succeduta, quella guidata da Pisapia).