la Repubblica, 3 aprile 2015
La ferocia jihadista in Kenya: un commando di somali entra in un college, separa gli studenti musulmani da quelli cristiani e uccide «tutti coloro che sono contro gli Shabab». Uno ad uno. Alcuni vengono anche decapitati. In totale si contano 147 morti, tutti riversi in una pozza di sangue
Quanta ferocia, per uccidere così tanti ragazzi inermi. Sono almeno 141 gli studenti universitari braccati e uccisi uno a uno in Kenya nei dormitori e nelle aule del campus di Garissa, a 180 chilometri di savana dal confine somalo. È da lì, dal sud della Somalia, che arrivava lo squadrone della morte, un commando di qaedisti costituito da più di dieci uomini secondo le prime ricostruzioni. Al Shabab, l’organizzazione jihadista che insanguina il Corno d’Africa, ha rivendicato l’azione prima ancora che si conoscesse la portata di questa strage orrenda: «Il Kenya è in guerra con la Somalia, i nostri uomini sono ancora all’interno dell’Università e combattono. Hanno rilasciato i musulmani e tengono gli altri in ostaggio: la loro missione è uccidere tutti coloro che sono contro gli Shabab», dice il portavoce dei terroristi, sheikh Ali Mohamud Rage. Gli «altri» sono i cristiani, le vittime ammazzate senza pietà.
Armati fino ai denti, sono entrati nel campus all’alba trasformando la quiete e il sonno in un inferno. I primi a cadere sono le due guardie giurate all’ingresso. Poi è una lenta carneficina, una strage che durerà ore tra spari ed esplosioni durante l’assedio delle forze di sicurezza: quel che troveranno all’interno, quando tutto sarà finalmente finito, è una bolgia di sangue. «Mi hanno salvato gli agenti, ma ho visto un’infinità di cadaveri», racconta Omar Ibrahim, uno studente sopravvissuto. Ci sono corpi abbandonati ovunque, «alcuni sono decapitati». «È stato orribile», dice sconvolta un’altra studentessa, Winnie Njeri. I morti ufficialmente accertati sono 147, tra i quali le due guardie, alcuni professori e quattro miliziani del commando. Ma ci sono molti feriti, e alcuni sono gravissimi.
Sotto il sole che sorge, la polizia keniana accerchia il campus. È una scuola enorme, ospita 815 studenti e 60 docenti. I killer uccidono i ragazzi che sono già in classe per preparare gli esami, poi entrano nei dormitori e si barricano in quello femminile con tutti i giovani che riescono a catturare. Chi può fugge, si nasconde nei campi tra gli edifici e poi balza fuori dalla rete del campus. Sono soprattutto le ragazze a finire in trappola. I terroristi identificano e separano gli studenti musulmani, lasciandoli fuggire. Non è loro che vogliono immolare alla guerra “santa”.
«È la strage più dolorosa e triste nella storia del Kenya», dice il ministro dell’Interno, Joseph Nkaissery, annunciando in serata la fine dell’assedio. L’intero paese è in ginocchio, devastato dal dolore. Le autorità varano il coprifuoco dal tramonto all’alba in quattro province, e in rete esplodono le proteste: «Quando capiranno che è ora di difenderci?». Il nemico è il terrorismo islamista che periodicamente deborda dalla Somalia per destabilizzare la regione, e per punire l’intervento militare keniano iniziato nel 2011 proprio per contrastare Al Shabab. Nel settembre 2013 i jihadisti attaccarono il centro commerciale Westgate a Nairobi, uccidendo 67 persone. Ma l’orrore è superato oggi nei numeri e nei simboli, perpetrato su studenti inermi come fa in Nigeria Boko Haram punendo il «peccato dell’istruzione occidentale». L’intelligence keniana aveva avvertito del rischio di un grande attacco contro le scuole, ma si pensava che nel mirino fosse ancora una volta la capitale ed è lì che è stata rafforzata la sicurezza. Invece hanno colpito 387 chilometri prima, lungo “l’autostrada” A3 che collega Nairobi alla Somalia.