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 2015  aprile 03 Venerdì calendario

Di cosa parliamo quando parliamo di lavoro? O per meglio dire, su quali dati ci basiamo per discutere di occupazione e disoccupazione? Lo strano caso dei 47mila posti spariti

Di cosa parliamo quando parliamo di lavoro? O per meglio dire, su quali dati ci basiamo per discutere di occupazione e disoccupazione? Se non bastasse la guerriglia statistica che da qualche mese vede contrapposti Istat e ministero del Lavoro – gli ultimi segnali discordanti sono i 79 mila contratti stabili in più registrati dal ministero di Giuliano Poletti tra gennaio e febbraio e i 44 mila occupati in meno a febbraio calcolati dall’Istat – in questi giorni il governo ha accolto con scarsissimo entusiasmo una revisione dello stesso Istat sui nuovi occupati del dicembre 2014. Anche perché la revisione non è neutra, ma dimezza seccamente il dato iniziale e provvisorio che era stato comunicato dallo stesso Istituto: non 93 mila nuovi occupati, ma solo 46 mila.
Ricordate? Era il 30 gennaio scorso e l’Istat annunciò che in base alla sua rilevazione mensile provvisoria sulle forze di lavoro i nuovi occupati nel dicembre 2014 erano per l’appunto 93 mila in più di quelli del novembre dello stesso anno. Soddisfazione generale per una ripresa che pareva agganciare anche il lavoro, entusiastico tweet del premier Matteo Renzi: «Centomila posti di lavoro in più in un mese. Bene. Ma siamo solo all’inizio. Riporteremo l’Italia a crescere #lavoltabuona».
Invece, forse, era solo «#lavoltabuonina», perché dopo quel comunicato, il 2 marzo l’Istat ha fatto un’altra comunicazione in cui annunciava che aveva ricostruito i dati basandosi sulla nuova serie statistica delle serie di popolazione. In parole povere ha adattato i risultati della sua indagine campionaria sul lavoro ai nuovi dati della popolazione italiana derivanti dal censimento dell’ottobre 2011. E proprio nel far questo, come si ricava dalle serie storiche aggiornate, lo stock di occupati a dicembre 2014 è passato a 22 milioni e 309 mila persone dai 22 milioni e 263 mila di novembre: un aumento, per l’appunto, di sole 46 mila unità e non di 93 mila come calcolato in precedenza. Altri 47 mila posti che a fine gennaio parevano conquistati sono dunque spariti.
Dal punto di vista metodologico non fa una grinza, tanto più che i dati provvisori vengono d’abitudine rivisti. Dal punto di vista politico, invece, di grinze potrebbe farne più d’una. In ogni caso nessun comunicato ha dato notizia che il dato di dicembre sui nuovi occupati era cambiato in maniera così radicale. Per scoprirlo bisogna consultare il sito dell’Istat.
Certo è che i dati periodici sul lavoro, con la loro complessità di interpretazione, la molteplicità di fonti divergenti – se non addirittura contrastanti – e allo stesso tempo con un’innegabile valenza politica che il governo cerca di sfruttare al massimo, stanno diventando materia sempre più scottante. Non è un caso che proprio ieri il ministero guidato da Poletti abbia annunciato che da aprile pubblicherà regolarmente ogni mese – e non più ogni trimestre – i dati delle Comunicazioni Obbligatorie, ossia le chiusure e le aperture di nuovi contratti, che danno una fotografia da un lato più precisa di quella dell’Istat perché riguardano dati certi e non un’indagine campionaria, ma dall’altro sono più sfocati perché considerano solo i lavori con regolare contratto.
L’annuncio del ministero significa da un lato che non si dovrebbe più assistere a baruffe come quella dello scorso novembre, quando nella stessa giornata in cui l’Istat dava gli occupati in calo di 55 mila unità Poletti reagì annunciando che in un anno erano stati creati quasi due milioni e mezzo di posti di lavoro. Dall’altro lato, però, la scelta di comunicare i dati ministeriali di ogni mese entro il 25 del mese successivo potrebbe non essere neutra dal punto di vista politico. Il calendario delle comunicazioni Istat è infatti allineato a quello di Eurostat e i dati su occupati e disoccupati vengono resi noti di norma negli ultimissimi giorni del mese: se ad esempio venerdì 24 aprile arriveranno i dati del ministero su marzo, saranno quelli a circolare e a formare la pubblica opinione; quando il 30 aprile l’Istat darà i suoi dati di marzo sarà inevitabile un confronto con quelli di sei giorni prima.
Insomma, si può avere il fondato timore che le polemiche e la confusione non diminuiranno nemmeno con il nuovo sistema. Dietro le baruffe di questi mesi, in realtà, i vertici di ministero del Lavoro e Istat stanno parlando e anzi stanno studiando se e come fornire dati «integrati» fra di loro. Sarebbe una soluzione che non risolverebbe certo il problema della disoccupazione, ma avrebbe almeno il pregio di fare un po’ di chiarezza nell’intricata foresta di cifre nella quale rischiamo tutti di perderci.