Il Sole 24 Ore, 2 aprile 2015
«Se Teheran non offre garanzie siamo pronti a lasciare il tavolo». Così gli Usa mettono alle strette l’Iran nella trattativa sul nucleare. Rohani deve portare a casa la cancellazione delle sanzioni, mentre Obama elementi tangibili da mostrare al Congresso. I due presidenti sono i protagonisti ma a quanto pare anche i prigionieri di questo negoziato
Gli Stati Uniti perdono la pazienza? Nella maratona negoziale sul nucleare iraniano il più ottimista è sempre il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov, che entra ed esce dai saloni del Beau Rivage, prende un aereo per Mosca per consultarsi con Putin e poi ritorna, segnando con questa navetta una sorta di ritmo sotterraneo delle trattative. Secondo il ministro degli Esteri russo un accordo di massima «sui principali temi chiave» era già stato raggiunto ieri, trovando conferma nella controparte iraniana: «Abbiamo avuto buoni colloqui su tutto il dossier – diceva il ministro degli Esteri Teheran Mohammad Javad Zarif – e speriamo di avere una bozza a partire da oggi». Ma poi qualche cosa si deve essere inceppato e a tarda notte si negoziava ancora. «Ci saranno nuove proposte stanotte» – diceva ieri sera il ministro degli Esteri tedesco, Frank-Walter Steinmeier – non posso prevedere se saranno sufficienti».
Dalla Casa Bianca sono venuti toni ben diversi da quelli di Lavrov. Dopo avere parlato di «incontri produttivi e che gli Usa erano disposti ad andare avanti nei colloqui», l’amministrazione americana, attraverso il portavoce della Casa Bianca Josh Earnest, ha precisato che «se Teheran non offre impegni tangibili» non esclude «di lasciare il tavolo» e «proporre nuove sanzioni».
A Losanna si fa passo avanti e uno indietro, tra dichiarazioni distensive alternate a ipotesi di fallimento non troppo velate. Come se il caos mediorientale, dove interi stati come la Siria e l’Iraq sono stritolati dalla guerra civile e dal jihadismo, non bastasse a imprimere una svolta e a costituire un incentivo per sciogliere almeno uno dei nodi della regione con gli strumenti della diplomazia.
L’intesa di massima, spiegava Lavrov, prevede i percorsi di monitoraggio da parte dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) e le tappe di alleggerimento progressivo dalle sanzioni. Team di esperti inoltre dovranno lavorare ai dettagli tecnici del testo definitivo entro la fine di giugno. Ma questa presentazione soft si scontrava con la realtà.
L’Iran ha continuato a insistere su un assenso preliminare dell’Occidente sulla questione della revoca di «tutte» le sanzioni contro la Repubblica islamica. Lo ha affermato il vice ministro degli Esteri, Abbas Araqchi, in un’intervista alla tv di Stato di Teheran. Araqchi ha precisato che l’Iran ha insistito sulla revoca immediata delle sanzioni nei settori del credito, del petrolio e della finanza e che per questo motivo rimanevano “differenze” tra le parti. Il vice ministro ha quindi annunciato che l’Iran stava per pubblicare un comunicato sui risultati raggiunti negli ultimi giorni di negoziato.
Il presidente Hassan Rohani da Losanna deve portare a casa qualche cosa di molto concreto, la cancellazione delle sanzioni, se vuole sopravvivere politicamente alle critiche dell’ala dura del regime, assai pessimista su queste trattative.
L’ottimismo dei diplomatici di Mosca e Teheran sul raggiungimento della storica intesa, la prima tra Washington e Teheran dalla rivoluzione islamica nel 1979, non ha avuto conferme. Anzi fonti americane hanno fatto trapelare che l’accordo non c’era ancora. Barack Obama ha bisogno di elementi tangibili da mostrare ai parlamentari che al Congresso si oppongono all’intesa con Teheran e minacciano due disegni di legge per avere l’ultima parola sull’eventuale accordo e imporre nuove sanzioni all’Iran. Obama e Rohani sono i protagonisti ma anche i prigionieri di questo negoziato.