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 2015  aprile 01 Mercoledì calendario

Amici e nemici dell’Isis. Dagli Stati Uniti all’Arabi Saudita, passando per il Pakistan, l’Egitto ecc

Ho letto con interesse il libro di Steve Coll La guerra segreta della Cia. L’autore argomenta la tesi secondo cui in Afghanistan la Cia finanziò per anni i movimenti islamici estremisti contro l’Unione Sovietica. Accanto ai finanziatori americani però vi erano anche fiumi di denaro dall’Arabia Saudita. Mi pare che con Isis stia succedendo qualcosa di simile. Come mai il nostro giornalismo non parla mai in maniera chiara di queste cose? Dove sono le inchieste? Come mai l’Arabia Saudita non viene mai chiamata sul banco degli imputati? Ci piacciono troppo i loro soldi? 
Gianluca Valente
Caro Valente, 
Il ruolo di Washington e Ryad nelle vicende afghane è stato già ampiamente descritto da studiosi e cronisti. Sappiamo che la rivolta dei mujaheddin, dopo l’invasione sovietica dell’Afghanistan, ebbe per effetto la nascita un’alleanza informale tra Paesi (Stati Uniti, Pakistan, Cina, Arabia Saudita), spesso divisi da interessi diversi, ma uniti allora dal desiderio di evitare che l’Urss s’impadronisse dell’intera regione. Gli americani fornirono consulenti, armi, piani operativi e missili Stinger, con cui gli afghani impararono ad abbattere gli elicotteri e gli aerei dell’Armata Rossa (esiste una divertente versione romanzata della vicenda in un film, «La guerra di Charlie Wilson», diretto da Mike Nichols nel 2007 con Tom Hanks e Julia Roberts). Il Pakistan favorì l’islamizzazione del conflitto e assicurò il passaggio in Afghanistan di parecchie migliaia di volontari (35.000, secondo lo studioso e giornalista Ahmed Rashid) che venivano da 43 Paesi musulmani. L’Arabia Saudita fu il tesoriere dell’operazione e mandò in Afghanistan un uomo (Osama bin Laden) che diventerà qualche anno dopo il suo maggiore nemico. Washington non poteva ignorare che la crescente motivazione religiosa del conflitto avrebbe radicalizzato l’intera regione, ma la priorità dell’America, in quel momento, era la sconfitta dell’Urss. 
Il caso dell’Isis e della sua rapida ascesa sullo scacchiere medio-orientale è alquanto diverso. I suoi effettivi ammonterebbero a circa 25.000 uomini, un numero rispettabile, ma inferiore a quello dei talebani presenti sul territorio afghano dopo il ritiro delle forze sovietiche dall’Afghanistan nel 1988. È un feroce nemico dell’islamismo istituzionale degli Stati della regione, ma è anche un baluardo contro la presunta minaccia dell’Iran. È possibile quindi che qualche Stato sunnita abbia creduto di potersene servire per contrastare il governo degli ayatollah, eliminare dalla carta geografica il regime alauita (una costola della grande famiglia sciita) del presidente siriano Bashar Al Assad e, infine, tenere a bada gli sciiti iracheni per evitare che il Paese diventi un satellite iraniano. Ma ricordo che uno dei maggiori sospettati (l’Arabia Saudita) è oggi il principale amico e finanziatore dell’Egitto di Abd Al Fattah Al Sisi, il maresciallo che, a sua volta, sta combattendo l’Isis nel Sinai e in Libia. Questo è il Medio Oriente. Se la situazione è imbrogliata, caro Valente, non ne attribuisca la colpa al giornalismo.