Corriere della Sera, 1 aprile 2015
«Sono depresso». Così, nel 2009, un Lubitz ancora studente aveva informato la Lufthansa della sua malattia. Intanto, sulle Alpi, i soccorritori hanno recuperato tutti i corpi delle vittime
La prima ammissione di Lufthansa arriva a una settimana dal disastro dell’Airbus A320 con uno stringato comunicato stampa sul suo sito. E apre una crepa profonda nel muro di «non ci aveva mai detto niente» dietro a cui si era finora trinceratati i suoi vertici: Andreas Lubitz, il copilota 27enne che martedì scorso ha fatto precipitare sulle Alpi francesi l’aereo diretto a Düsseldorf, uccidendo se stesso e le altre 149 persone a bordo, nel 2009 aveva avvertito la scuola di volo della compagnia aerea della sua depressione. Intanto nuovi particolari delle registrazioni della scatola nera fanno emergere ancora di più l’ostinazione di Lubitz nel far cadere l’Airbus A320: chiuso nella cabina di pilotaggio dopo aver modificato la rotta, il copilota ha indossato la maschera dell’ossigeno, forse per non rischiare di perdere lucidità.
Lufthansa scrive che dopo «un’interruzione di più mesi della sua formazione nella scuola di guida», Lubitz aveva ottenuto «la necessaria idoneità medica al volo» ma che dalla «corrispondenza email del copilota con la scuola di volo» emerge che questi «da studente, nel 2009, in occasione della ripresa dell’addestramento aveva informato, allegando documenti medici, di “un grave episodio di depressione ormai risolto”». L’espressione, tra virgolette, fa ritenere che Lufthansa riporti le parole usate da Lubitz nella sue mail (la compagnia non ha dato ulteriori informazioni e anche una portavoce di Germanwings, al telefono, ha rifiutato di commentare). Solo giovedì scorso l’amministratore delegato di Lufthansa, Carsten Spohr, 48 anni, aveva dato una versione edulcorata di quanto accaduto, sottolineando che Lubitz era «idoneo al volo al 100%».
«Sei anni fa c’era stata un’interruzione nella sua formazione – aveva detto allora Spohr senza specificare il perché —. Abbiamo verificato le sue abilità e ha ripreso nella scuola di volo. Dopo ha avuto sempre ottimi risultati».
La compagnia aerea non era l’unica a sapere del passato travagliato di Lubitz: fonti governative europee hanno rivelato alla Cnn che anche la fidanzata del copilota, Kathrin Goldbach, 27 anni, sapeva della sua storia di depressione, ma «non la gravità dei suoi problemi», anzi era «ottimista» sul fatto che li stava superando. La ragazza avrebbe anche detto agli inquirenti di Düsseldorf che Lubitz si era fatto visitare da un oculista e un neurologo ed entrambi lo avevano dichiarato non idoneo a lavorare e avevano riscontrato problemi psicologici. Il procuratore di Düsseldorf ha invece smentito al Corriere che i familiari sapessero della depressione: «Nessuno di loro di recente aveva avuto segnali che potesse essere pericoloso per se stesso o per gli altri», ha detto Christoph Kumpa.
Ma sempre più elementi confermano che Lubitz ha causato volontariamente la morte di 150 persone: ieri il settimanale Paris Match ha dato notizia del ritrovamento di un video girato con un cellulare a bordo dell’aereo in cui si mostra il caos e le grida prima dello schianto. Notizia poi smentita dal procuratore di Marsiglia. Ieri intanto i soccorritori hanno recuperato tutti i corpi delle vittime.
Altri dettagli, scrive il settimanale, emergono dalla scatola nera. Si sente il capitano Patrick Sonderheimer, 34 anni, che dopo essere stato chiuso fuori da Lubitz dice: «Sono io» rivolto alla telecamera collegata alla cabina. Lubitz non risponde e allora Sonderheimer colpisce la porta con un estintore, urla «Per l’amor di Dio apri la porta». Poi chiede di andargli a prendere l’ascia di bordo e riprova a sfondarla. Ma non ci riesce e grida di nuovo: «Apri questa fottuta porta!».
Dalle registrazioni si sente chiaramente Lubitz respirare attraverso la maschera d’ossigeno, quella che si usa per non svenire in caso di depressurizzazione. Il suo respiro muto è l’unico rumore nella cabina di pilotaggio fino alla fine. Fuori le urla dei passeggeri: negli ultimi interminabili minuti hanno avuto modo di capire tutto.