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 2015  marzo 31 Martedì calendario

Questo Paese primeggia nelle classifiche sulla corruzione non tanto per la corruzione in sé, ma per la scarsa trasparenza: a differenza di mezza Europa, infatti, non abbiamo una legge sulle lobby e cioè una serie di regole che obblighino il pubblico amministratore a rendere noti i rapporti con industriali e appunto lobbisti

Questo Paese primeggia nelle classifiche sulla corruzione non tanto per la corruzione in sé, ma per la scarsa trasparenza: a differenza di mezza Europa, infatti, non abbiamo una legge sulle lobby e cioè una serie di regole che obblighino il pubblico amministratore a rendere noti i rapporti con industriali e appunto lobbisti. Infatti sono i lobbisti a bloccare o promuovere leggi ad hoc che, insieme a incarichi privilegiati, costituiscono l’ossatura della corruzione 2.0. L’Autorità anticorruzione dovrebbe vigilare su questo, se avesse una legge per farlo. C’è una cosa, infatti, che non è chiara: fare i lobbisti non è proibito; dare un appalto a una ditta anziché a un’altra, in sé, non è proibito; darlo ad amici, o portarsi amici al ministero, non è vietato; essere amici in sostanza non è un merito – per la collettività, almeno – ma non può neanche essere un demerito. La discrezionalità, insomma, non è un reato di per sé: è reato gonfiare fittiziamente gli importi o frodare un bando di gara, ma spesso non c’è il bando e neppure la gara. L’ambiguità italiana è tutta qui: al punto che il potere decisionale esercitato da 14 anni da Ercole Incalza – il rais delle Infrastrutture arrestato di recente – per molti aspetti corrispondeva paradossalmente a ciò che era stato chiamato a esercitare. Ecco, sino a che punto? A deciderlo devono essere delle regole trasparenti, non una discrezionalità – quella dei magistrati – che si sovrappone a un’altra.