Il Sole 24 Ore, 27 marzo 2015
Draghi: «Il Quantitative easing favorisce le riforme». L’intervento del presidente della Bce alla Camera: «Possibile un punto di Pil in più, ma la politica monetaria da sola non basta»
Il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, è più ottimista sulle prospettive dell’economia dell’eurozona, le più favorevoli degli ultimi anni, ma per ora si tratta di una ripresa “ciclica”, favorita anche dal calo del prezzo del petrolio. L’impatto delle misure della stessa Bce, compreso l’acquisto di titoli pubblici iniziato questo mese, sarà maggiore se accompagnato dalle riforme strutturali. «Chi fa più riforme coglie meglio l’occasione» dello stimolo monetario e «cresce di più». Il cosiddetto quantitative easing (Qe), a sua volta, aiuterà i Governi a fare le riforme, perché queste «sono più facili se la situazione economica migliora», ha detto nella sua prima audizione in commissione parlamentare da quando ha assunto l’incarico a Francoforte nel novembre 2011, dopo che gli anni scorsi era intervenuto anche ai parlamenti di Germania, Spagna e Francia. Secondo Draghi, che ha citato stime di Banca d’Italia, il Qe può portare alla crescita dell’economia italiana un 1% addizionale entro il 2016 grazie al calo dei tassi e dell’euro. Ma, ha ammonito, «se i Governi perdono questa occasione, si torna al punto di partenza».
Il banchiere ha confermato che la Bce intende rispettare anche a marzo, nonostante gli acquisti siano iniziati solo il 9, l’obiettivo di 60 miliardi di euro, e ha sostenuto che non ci sono segni di scarsità di titoli da comprare, come qualcuno temeva. Da sola però «la politica monetaria non può assicurare una ripresa stabile e duratura».
Consapevole di parlare a un uditorio in cui diverse forze politiche sono contro l’euro, Draghi ha respinto l’idea che le cose andassero meglio prima della moneta unica. Nel 2011, in piena crisi, ha ricordato, i rendimenti dei titoli di Stato italiani a 10 anni avevano superato il 7% e una differenza di 500 punti base rispetto ai titoli tedeschi, ma quella, ha detto, era la media nei 15 anni prima della nascita dell’euro. «Questo è un primo parametro per chi vuol fare paragoni», ha osservato. Con il Qe lo spread è andato anche sotto quota 100. Ha rammentato inoltre che il calo della crescita potenziale dell’economia italiana, è iniziato ben prima dell’unione monetaria: era 2,5% all’inizio degli anni 90 ed era già sceso all’1,5% nel 1999 ed ora, secondo stime del Fondo monetario, è a zero. Draghi ha sostenuto anche che «trincerarsi dietro i confini nazionali non risolverebbe i problemi», come l’alto debito pubblico, e farebbe anzi aumentare la disoccupazione.
La via d’uscita è l’aumento della produttività (Draghi ha citato statistiche impietose in cui l’Europa fa molto peggio degli Stati Uniti e l’Italia molto peggio del resto d’Europa), che passa attraverso riforme che affrontino una serie di problemi: la regolamentazione che incentiva le imprese a rimanere piccole, la lentezza della giustizia civile, l’inefficienza della pubblica amministrazione, l’eccessiva frammentazione del sistema bancario, le lacune dell’istruzione. «Negli ultimi anni sono stati varati diversi interventi su questi fronti. È bene proseguire lungo il percorso avviato», ha detto. Draghi però si è dichiarato ottimista sul fatto che le riforme si faranno: i critici del Qe, banchieri centrali tedeschi in testa, sostengono che questo tolga l’incentivo a farle, ma secondo il presidente della Bce molte di queste non sono legate al livello dei tassi e, anzi, la riforma del mercato del lavoro è stata adottata con i tassi già bassi. Il maggior incentivo per i Governi a fare le riforme dovrebbe, a suo parere, essere la disoccupazione fra il 10 e il 20% in molti Paesi. Draghi ha ribadito la tesi sostenuta più volte di recente, secondo cui anche sulle riforme strutturali c’è bisogno di istituzioni europee.
La spinta della politica monetaria ha bisogno però anche di una politica fiscale “amichevole” per la crescita. In Italia, come altrove, ha ricordato il banchiere, il consolidamento dei conti pubblici è stato fatto con aumenti di tasse, tagli agli investimenti pubblici e un aumento della spesa corrente che è continuato fino al 2014.