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 2015  marzo 27 Venerdì calendario

Strage dell’Airbus 320: è stato il copilota Andreas Lubitz a chiudere fuori il comandante dalla cabina e a far schiantare l’aereo contro il Mont Esprot a 700 km all’ora. I 40 minuti e 47 secondi della scatola nera parlano di un suicidio che ha portato alla morte altre 149 persone

Da bambino sognava di essere un piccolo Icaro, immaginava di pilotare aerei grandi lassù, sopra alle nuvole, dove c’è sempre il sole. A quattordici anni aveva già imparato a guidare un aliante biposto nel circolo di Montabaur, paesino a un’ora dall’aeroporto di Düsseldorf. Ora che Andreas Lubitz di anni ne ha ventisette, si trova seduto a destra del comandante, nella cabina di pilotaggio dell’A320 di Germanwings. Ha conquistato il cielo. Sta facendo quello per cui è stato addestrato nel migliore centro di Lufthansa, superando ogni tipo di stress test.
Piove a Barcellona quando l’aereo si alza in volo dall’aeroporto internazionale El Prat. Il comandante Patrick Sonderheimer e il copilota devono aspettare ventisette minuti sulla pista per traffico intenso. Alle 10.01 l’aereo finalmente decolla. Patrick e Andreas eseguono le procedure di rito, poi si rilassano. Hanno una conversazione che gli investigatori definiscono “gioviale”. La giornata per loro è cominciata presto. Sono partiti alle 7.01 da Düsseldorf per atterrare nella capitale catalana poco prima delle nove. Andreas, assunto dal 2013 come copilota nella filiale low cost di Lufthansa, ha già 630 ore di volo alle spalle. Patrick ha volato dieci volte tanto. I due continuano a chiacchierare, sorvolano il Mediterraneo, alle 10.27 raggiungono quota 11.400 metri, l’altitudine di crociera, passano a sud di Tolone, danno l’ultimo messaggio ai controllori di volo di Aixen- Provence: «Direct IRMAR merci 18G». Nell’A320 si spengono i segnali luminosi delle cinture allacciate, anche i 144 passeggeri cominciano a rilassarsi, aspettando lo snack che i quattro assistenti di volo stanno preparando.
«Prendi tu il comando». Alle 10.30 Patrick si alza per andare alla toilette. Poco prima, il comandante ha dato al copilota le coordinate per l’atterraggio previsto alle 11.55. Andreas all’improvviso si incupisce. Parla poco, diventa “laconico” secondo gli investigatori che hanno trascritto le registrazioni del Cokpit Voice Recorder (Cvr). È l’unico, impercettibile segnale che qualcosa in lui è già cambiato. Troppo poco per insospettire il comandante che esce. La porta della cabina di pilotaggio si chiude. Non si riaprirà mai più. Qualche minuto dopo, Patrick bussa “dolcemente” per rientrare al suo posto. Aspetta qualche secondo, non ottiene risposta. Attiva l’interfono. «Andreas aprimi». Silenzio. Il comandante digita i codici che permettono di aprire la porta in casi di emergenze, come un malore di uno dei piloti. Non funzionano. “Lock”. Andreas ha chiuso dall’interno. Ormai è solo, padrone assoluto dell’A320 e della vita di 149 persone, tra cui una scolaresca di ragazzi tedeschi che scherzano e ridono all’interno dell’aereo. Ancora non si sono accorti di nulla.
Nel suo piano mortale, Andreas riesce a ingannare tutti. Non vuole cadere in picchiata. Sceglie piuttosto una discesa «lenta e regolare», attivando alle 10.31 il «flight monitoring system». Le nuvole si avvicinano. Il comandante capisce che qualcosa di irreparabile sta succedendo. «Andreas aprimi». Ormai Patrick grida, prende a calci la porta blindata. Gli assistenti di volo si avvicinano, urlano anche loro. I passeggeri delle prime file capiscono. «Andreas apri». Silenzio. Nella trascrizione del Cvr si sentono le grida del comandante e i messaggi dei controllori di volo all’interno della cabina. Da terra, i responsabili della sicurezza aerea chiedono ad altri piloti in volo di tentare di agganciare il volo 4U9525 con le frequenze radio interne. Niente. La torre di controllo di Marsiglia ordina di attivare il codice d’emergenza (7077) che in casi disperati si invia a terra tramite trasponder. Niente.
Silenzio. Andreas non risponde a nessuno. Nell’audio del Cvr si sente solo il copilota respirare. «È vivo, cosciente. Ha respirato fino alla fine» dice il procuratore di Marsiglia, Brice Robin. In realtà, Andreas è già morto dentro. Non parla. Non dice niente per tutta la discesa folle dell’aereo. Vede davanti a sé le valli dell’Alta Provenza attraversate dai fiumi e, in fondo, a ormai pochi chilometri, il massiccio dei Trois-Evêchés, dove cominciano le Alpi verso l’Italia. Neanche questa apparizione maestosa e terribile provoca in lui un sussulto, una reazione. Suonano gli allarmi tecnici che segnalano che l’aereo si sta avvicinando a terra. L’A320 ha funzionato perfettamente fino alla fine. I computer di volo non sono nella testa di Andreas. Mancano ormai poche decine di secondi all’impatto. Si sentono dei botti, forse l’ultimo disperato tentativo di sfondare la porta blindata con un oggetto. Il Cvr registra anche le urla che provengono dall’interno dell’aereo, sempre più forti. I passeggeri vedono dai finestrini le montagne avvicinarsi ma non possono fare niente per salvarsi. Sono prigionieri di Andreas e del suoi sogni da bambino che si sono trasformati in un “incubo vigile” come dicono ora gli psicologi cercando di entrare nella mente malata del copilota.