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 2015  marzo 26 Giovedì calendario

Decreto antiterrorismo, per i pm «Poche idee, ma confuse». Le critiche di Pignatone e Bruti Liberati sul testo ora alla Camera: «Non si sa cosa sarà reato»

Fortemente limitativo delle libertà personali e della privacy, vago e approssimativo nella definizione del reato di terrorismo e delle misure da applicare, decisamente non funzionante nei poteri di coordinamento attribuiti all’ufficio del Procuratore nazionale Antimafia (e Antiterrorismo) e nella regolamentazione dei rapporti tra i servizi e la Super-procura. È il decreto anti terrorismo varato urgentemente dal governo a febbraio e che dovrebbe essere votato dall’Aula di Montecitorio martedì (forse con fiducia, anche se pare di no) nel racconto degli esperti auditi in commissione alla Camera.
Ecco come il capo della polizia, Alessandro Pansa, tra gli ispiratori del provvedimento, il 25 febbraio motiva la possibilità di ritirare il passaporto: si tratta di “una misura di prevenzione”. che scatta “nel momento in cui il questore propone la misura di prevenzione personale, qualora ritenga che il soggetto possa in tempi brevi allontanarsi dal territorio nazionale”. Nella premessa, la filosofia inspiratrice del testo: “Ci sono soggetti che aderiscono alle organizzazioni terroristiche e si addestrano motu proprio. Quando i loro comportamenti non sono ancora da sanzione penale è necessario e indispensabile che vengano attivate al meglio misure di prevenzione”. Come quella non esattamente leggera del ritiro del passaporto.
“C’è un po’ di disordine” esordisce Giuseppe Pignatone, procuratore capo di Roma (che parla anche per conto del collega di Milano, Edmondo Bruti Liberati). E lo enuncia per punti: “Per quanto riguarda l’articolo 270-quinquies: punisce l’addestramento, che probabilmente era già punito. Sembra, inoltre, che venga punito chi si auto-addestra e ponga poi in atto comportamenti finalizzati alla commissione di condotte con finalità di terrorismo. Questa è la dizione del decreto-legge. Da questa dizione, piuttosto generica, sembra che si voglia punire qualcosa che avviene ancora prima dell’attentato, che poi è punito autonomamente come reato.” Ancora: “La seconda considerazione riguarda l’articolo 270-quater: punisce la condotta dell’arruolato. Anche in questo caso la preoccupazione per future applicazioni è quella di una vaghezza del termine. Occorre capire che cosa si intenda per ‘arruolato’, se l’Imam che pronuncia discorsi magari infiammati ai suoi correligionari, se qualche cosa di più o qualche cosa di meno”. Il più grave, secondo Pignatone, è “l’articolo 270-quater: “Chiunque organizza, finanzia o propaganda viaggi finalizzati al compimento delle condotte con finalità di terrorismo (...) è punito con la reclusione da tre a sei anni. In questo caso, anche se probabilmente tutti abbiamo in testa il terrorismo internazionale, in realtà la norma non ne parla”. L’esempio “provocatorio”: “Se uno organizza un viaggio da Roma a Tivoli, magari collegato ai No Tav, potrebbe ricadere nell’attuale formula proprio perché il concetto di viaggio riguarda qualunque spostamento da un luogo all’altro”.
Il più critico di tutti, però, è Franco Roberti, Procuratore nazionale antimafia, che secondo il decreto sarà anche il Procuratore Antiterrorismo: in questo formula, ha spiegato ai deputati, “mi dai un coordinamento sulla carta, pressoché declamatorio, ma non lo strumento per esercitare. Mi attribuisci la responsabilità e non lo strumento per esercitarla”. Svolgimento: “Con l’introduzione del ‘Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo’ abbiamo davanti un apparente paradosso: esiste la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, ma non esistono le direzioni distrettuali antimafia e antiterrorismo. Le procure distrettuali antiterrorismo sono rimaste esterne alla procura distrettuale antimafia”. Risultato: “I poteri del procuratore antiterrorismo non sono sovrapponibili a quelli del procuratore antimafia”.
E ancora: i rapporti con i servizi. Roberti si riferisce soprattutto “alla materia dei colloqui investigativi con i detenuti e delle intercettazioni preventive dei servizi”. Spiega: “Il decreto antiterrorismo del 2005 attribuisce al procuratore generale presso la Corte di appello di Roma la competenza ad autorizzare i servizi. Tuttavia, nel momento in cui si attribuiscono questi poteri al Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, qual è il senso di lasciare al procuratore generale di Roma queste competenze autorizzatorie. Che senso ha? Perché non attribuire il compito al procuratore nazionale antimafia? Forse perché si vuole mantenere un livello alto di burocrazia in questo servizio?”. Roberti si dà una risposta molto esplicita e molto chiara: “Si vuole evitare un controllo”.
Netta pure la definizione di Massimo Papa Casa, presidente del Comitato Analisi Strategica antiterrorismo. Che, audito dal Comitato Schengen, definisce così la parte del decreto Antiterrorismo sui foreign fighters : “Vaga e restrittiva”.