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 2015  marzo 26 Giovedì calendario

Quarant’anni fa, nelle sale usciva il primo film di Fantozzi e l’Italia si metteva allo specchio, almeno quella parte che già non lo aveva fatto nei libri in cui il genio di Paolo Villaggio si era inventato non soltanto una maschera, ma una lingua

Quarant’anni fa domani, nelle sale usciva il primo film di Fantozzi e l’Italia si metteva allo specchio, almeno quella parte che già non lo aveva fatto nei libri in cui il genio di Paolo Villaggio si era inventato non soltanto una maschera, ma una lingua. Chi è il ragionier Ugo Fantozzi? Uno sconfitto che si scopre migliore, o comunque non peggiore, degli altri. I megadirettori galattici si rivelano meschini, le contesse con sei cognomi avide, gli intellettuali da cineforum una massa di barbe frustrate, i colleghi viscidi o entusiasti dei traditori potenziali. E l’Italia in genere un Paese di servi cinici e cattivi che infieriscono sul più debole in una sorta di catena alimentare dove esiste sempre qualcuno più fantozzi di te.
Col passare degli anni la caricatura concepita da Villaggio si sta trasformando (tragicamente, direbbe lui) in una fotografia. Per fortuna Fantozzi è anche altro. Al di là, forse, delle intenzioni del suo creatore, sotto quel cappotto siberiano batte un cuore. Il ragioniere ama la frivola signorina Silvani e, in fondo, persino la moglie dimessa e la figlia bertuccia. Incarna il perdente inesauribile e indomabile come un eroe dei fumetti. Ed è questa energia che lo riscatta e lo rende immortale.