25 marzo 2015
Ma le compagnie low cost sono meno sicure delle compagnie tradizionali? Qualche numero per sfatare falsi miti che riemergono dopo la caduta dell’Airbus A320 della Germanwings. I controlli per chi vola sono tutti uguali, i tagli non avvengono sulla sicurezza, ma c’è malumore tra gli equipaggi «no frills»
L’aereo, l’Airbus A320, è uno dei più sicuri della storia dell’aviazione civile, con un tasso d’incidenti pari a 0,08 volte su un milione. La compagnia – la Germanwings, controllata al 100% dalla Lufthansa – aveva fino a ieri sette stelle su sette (il massimo) nella classifica sulla sicurezza di Airlines Rating, una sorta di Vangelo del settore. Ettore Livini: «La tragedia del volo 4U9525 in servizio tra Barcellona e Dusseldorf è avvenuta in uno dei fazzoletti di cielo più monitorati d’Europa. Eppure, in attesa che scatole nere e inchieste raccontino cos’è successo davvero a bordo, i primi processi sommari hanno messo sul banco degli imputati il tradizionale capro espiatorio del settore: le compagnie low cost» [1].
Un pilota, che preferisce restare anonimo, riassume la faccenda così: «Guardi in faccia i comandanti delle compagnie di linea e quelli delle low cost. Nel primo caso hanno dai 40 anni in su, nel secondo le può capitare di vedere al comando sbarbatelli di appena 30 anni» [2].
Gianni Dragoni: «L’ossessione delle low cost sui cieli d’Europa – il mercato nel quale queste compagnie sono più diffuse – è un incubo per i vettori tradizionali. Secondo dati Ecac le compagnie a basse tariffe hanno raggiunto una quota di mercato del 32 per cento in Europa nel 2013, rispetto al 17 per cento nel 2005, nel mondo la loro quota è del 23 per cento. Secondo dati più recenti di fonte Oag, le low cost in Europa hanno una quota di mercato del 36 per cento» [3].
Corinna De Cesare: «Da Milano a Londra, da Roma a Parigi, da Dublino a Madrid, i low cost, da Ryanair a Easyjet, sono stati i voli della generazione Erasmus, quelli con pochi euro in tasca ma necessità di spostarsi da un Paese all’altro per tornare a casa. Ma anche i voli delle famiglie che per la prima volta hanno raggiunto le grandi capitali d’Europa senza spendere un patrimonio. Tante le aziende che negli ultimi tempi, in era di spending review, utilizzano ormai con frequenza i voli a basso costo per i viaggi d’affari tanto che le compagnie si sono ormai attrezzate offrendo pacchetti ad hoc» [2].
Ma come fanno le compagnie low cost a garantire tariffe così basse? Ryanair è stata più volte, in passato, accusata di risparmiare sul carburante e sul personale. Accuse da cui il vettore irlandese si è sempre difeso con tutti i mezzi [2].
Un’inchiesta pubblicata nel 2013 dall’Economist ha rivelato come i tagli e i risparmi delle aziende low cost (quelli che poi determinano il prezzo ridotto dei biglietti) derivino da voci di bilancio diverse da quelle relative alla sicurezza. Cosa che per di più non sarebbe concessa dalla legge. Il nome originario «no frills» stava a spiegare proprio la scelta di eliminare i servizi accessori al voli. I pasti, il catering e lo champagne. Trend che adesso ha coinvolto pure tutte le altre compagnie, comprese quelle di bandiera [4].
Le regole dei cieli sono uguali per tutti: controlli, manutenzioni e limiti a orari di valgono per qualsiasi compagnia, indipendentemente dal costo cui vende i biglietti ai passeggeri. Non solo: da quando le low cost hanno conquistato i cieli d’Europa il numero di incidenti, anziché aumentare, è diminuito. “Anzi, spesso sono loro che hanno i risultati migliori quando i nostri tecnici effettuano ispezioni a sorpresa per controllare il rispetto delle norme”, dice Fabio Nicolai, direttore centrale delle attività aeronautiche dell’Ente nazionale dell’aviazione civile [1].
Nel 2006 il costo per posto al miglio di un’aerolinea tradizionale era di 9,2 centesimi e quello di Ryanair & C. di 5,7. Ora la forbice si è stretta a 9,3 centesimi contro 6,8. La verità è che il modello delle low cost – per ora solo sul breve-medio raggio – è vincente. I servizi su queste tratte tendono ormai a equivalersi. I vettori a basso costo hanno iniziato ad assegnare i posti a bordo e a offrire una prima spartanissima forma di business class. Ma con biglietti che costano in media il 35% in meno di quelli dei concorrenti. I big hanno dovuto adeguarsi facendo buon viso a cattiva sorte [4]
Anche le autorità di controllo della sicurezza hanno provveduto a rimodulare i controlli alla nuova mappa economica dei cieli. Prendiamo le manutenzioni: ogni aereo, non importa che nome ha pitturato sulla livrea, deve superarne una verifica pre-volo del comandante e degli addetti di rampa da completare con analisi più profonde e dettagliare ogni 150 ore di utilizzo. Poi ci sono i servizi in hangar: uno stop ogni sei mesi di un paio di giorni per un tagliando completo e – ogni due anni – la cosiddetta “heavy maintenance” dove un jet viene smontato fino all’ultimo rivetto per verificarne l’affidabilità. Vale per la Lufthansa ma vale pure per la Germanwings [1].
L’European aviation safety agency effettua migliaia di verifiche a sorpresa – 800 in Italia lo scorso anno – su oltre 150 indicatori di bordo (dall’usura dei pneumatici, alla pulizia del vano carrelli fino alle perdite d’olio) senza guardare in faccia nessuno. E anche in questo campo – dicono all’Easa – i risultati delle low cost dei paesi avanzati non hanno niente da invidiare a quelli dei rivali [1].
Claudio Antonelli: «Le compagnie a basso costo hanno poi un’altra statistica a proprio favore: sono proprietarie di una flotta mediamente più giovane rispetto alle concorrenti che volano a tariffa piena. Cosa che di per sé va comunque inquadrata in un panorama più vasto» [4].
«Si è detto che l’Airbus 320 precipitato era stato immatricolato nel 1990, inducendo a pensare che fosse vecchio. Anche qui, una precisazione: le norme internazionali non stabiliscono limiti di età, ma solo regole di efficienza alle quali un velivolo deve attenersi. Non contano gli anni, ma l’usura: esce di mercato solo quando le manutenzioni diventano troppo onerose, o quando la sua sostituzione con un aereo nuovo diventa più conveniente sotto il profilo economico» (Paolo Stefanato) [5].
Quel che è certo è che dei 20 peggiori disastri aerei avvenuti nei cieli statunitensi, solo due hanno visto coinvolti voli a basso costo. In Europa, prima del disastro della Germanwings, c’erano stati lo schianto di un volo charter della compagnia cipriota privata Helios Airways in Grecia, sulle montagne a nord di Maratona e Varnavas, il 14 agosto 2005 (121 morti) e quello di un velivolo MD-82 della Spanair subito dopo il decollo dallo scalo Barajas di Madrid, il 20 agosto 2008 (154 morti) [2].
Qualche altro dato: nel 2003 in Italia 77 passeggeri su 100 volavano con le compagnie tradizionali e appena 23 con le low cost. Nel 2008 più di un passeggero su due volava con un vettore italiano. Nel 2013 la quota è scesa al 34% [6].
Nel 2014 hanno volato circa 3,3 miliardi di persone in tutto il mondo; i morti sono stati 641, un morto ogni 5,147 milioni di passeggeri. La fonte è la Iata, l’associazione alla quale aderiscono le principali 250 compagnie commerciali del mondo. Lo scorso anno, dal punto di vista della sicurezza è risultato il migliore nella storia dell’aviazione: il numero dei morti è stato superiore alla media degli ultimi anni (517 morti nel quinquennio 2009-2013) ma il numero di incidenti è stato nettamente inferiore, 12 nel 2014 contro i 19 della media dei cinque anni (le statistiche 2014 non tengono conto dei 298 morti sull’aereo della Malaysian airlines, che è stato abbattuto da un missile in Ucraina, fatto che non viene classificato come «incidente») [6].
Tornando all’incidente di martedì. «Una compagnia targata Lufthansa, ma con stipendi più bassi per i piloti e costi inferiori del 20 per cento: questa è Germanwings, controllata al 100% dal grande vettore tedesco. Ma questo non è sufficiente per competere con le low e i vertici vogliono tagliare i costi di un altro 10-15 per cento. Questo piano, che Lufthansa vorrebbe realizzare travasando parte dei voli in una nuova entità, con il marchio Eurowings, è stato bloccato dall’opposizione dei piloti, che hanno fatto 15 giorni di sciopero l’anno scorso. In più ora si aggiunge anche il dramma dell’incidente dell’aereo Germanwings caduto ieri in Francia» (Gianni Dragoni) [3].
L’altro tentativo di un vettore tradizionale di creare una low cost in casa, quello di Air France attraverso Transavia, è stato stoppato dai piloti. Il terzo grande gruppo europeo, Iag che fa da ombrello a British Airways e Iberia, che al momento presenta i migliori risultati economico-finanziari in Europa, grazie anche alla ripresa economica in Gran Bretagna, ha sviluppato una low cost gioiellino, la spagnola Vueling. Il vettore guidato da Alex Cruz ha conquistato quote di mercato anche in Italia, occupa molti spazi lasciati liberi da Alitalia, la cui attività è sempre più ridimensionata, anche nella nuova versione targata Etihad. Vueling lancia la sfida anche alle due prime della classe nelle low cost europee, Ryanair e easyJet [3].
Corinna De Cesare: «Era il 1987 quando un signore irlandese fu mandato da Tony Ryan a studiare il modello di business della Southwest Airlines, un vettore che da Dallas era riuscito a infrangere il dominio delle grandi compagnie di linea sul mercato statunitense. Quel signore, Michael O’Leary, è da più di vent’anni al comando di Ryanair, la low cost per eccellenza, arrivata a collegare 189 destinazioni in 30 Paesi e a trasportare ormai 82 milioni di passeggeri. Una low cost che in poco più di vent’anni ha contribuito a stravolgere tutto il business dei voli, ha lanciato tratte a zero sterline usando aeroporti secondari e usufruendo spesso anche di incentivi pubblici finiti più volte sotto inchiesta» [2].
«Il prossimo capitolo, con buona pace dei detrattori del genere, sono i voli a basso prezzo a lungo raggio: Wow Air e Norwegian hanno iniziato a offrire viaggi a cifre da saldo sulle tratte transatlantiche. Pure Ryanair, tra qualche goe molti stop, ci sta pensando. E nessuno si fascia la testa in modo preventivo: l’aereo, anche se oggi è difficile ricordarlo, resta in ogni caso di gran lunga il mezzo di trasporto meno pericoloso. Il rischio di morire (dati del dipartimento ai trasporti Usa) è 3mila volte più alto per la moto, 100 per auto e camion e doppio per il treno» (Ettore Livini) [1].
Note (tutte dai giornali del 25/3): [1] Ettore Livini, la Repubblica; [2] Corinna De Cesare, Corriere della Sera; [3] Gianni Dragoni, Il Sole 24 Ore; [4] Claudio Antonelli, Libero; [5] Paolo Stefanato, il Giornale; [6] Beniamino Pagliaro, La Stampa;