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 2015  marzo 25 Mercoledì calendario

Intervista a tutto campo a Paolo Signorini, nuovo capo della Struttura di missione, che ha preso il posto di Ettore Incalza, il sospetto deus ex machina di quel sistema di favori e di potere nella gestione delle Grandi Opere: «Troppi intrecci affari-politica. Nell’inchiesta compaio poco e risulto sempre non allineato. Non sono un uomo di Incalza»

Paolo Emilio Signorini è l’uomo che ha preso il posto di Ettore Incalza, il sospetto deus ex machina di quel “sistema” di favori e di potere che secondo la Procura di Firenze avrebbe per anni governato il settore delle grandi opere pubbliche italiane.
Oggi Signorini non solo è capo del Dipartimento per le infrastrutture, carica equivalente a quella di direttore generale del ministero. È anche “reggente” di quella “Struttura tecnica di missione” che l’indagine fiorentina dipinge come il cuore tecnico del potere di Incalza. Carica affidatagli dall’ex ministro Maurizio Lupi su indicazione proprio di Incalza.
Pur trovando il suo nome sia nelle carte dei magistrati fiorentini sia nelle pagine dei giornali, Signorini ha sempre preferito mantenere il silenzio. Che rompe però oggi con questa intervista a tutto campo con Il Sole 24 Ore.
Quello di Incalza ci è stato presentato come un sistema di potere. E sia i media sia i magistrati di Firenze fanno di lei un tassello importante di quel sistema – un uomo di Incalza. Come risponde?
Premesso che è costume dei funzionari pubblici esternare poco, e questo motiva il riserbo da me finora avuto, la prima considerazione da fare è quella di capire come si arriva in certe posizioni apicali. È chiaro che se tu arrivi per cooptazione, il sospetto di essere uomo di qualcuno è più forte. Io invece ci sono arrivato sgobbando, lavorando per ministri, governatori, presidenti del consiglio. Vengo da Yale, da Banca d’Italia e ho servito al ministero dell’economia e a Palazzo Chigi… Detto questo, l’ordinanza di Firenze è di 268 pagine – ci sono decine di nomi, telefonate, affari, cene, c’è un mondo – ma io praticamente non compaio.
Veramente in quelle pagine i magistrati dicono che Incalza avrebbe fatto in modo che la Struttura tecnica di missione fosse salvata e che lei ne fosse nominato capo. E parlano di «influenza» di Incalza su di lei.
Smentisco seccamente. E le chiedo: non le sembra strano che in un documento di quasi 270 pagine, io come uomo di Incalza non compaia? Negli unici casi citati, io risulto non essere allineato. Io sono tranquillissimo. Non so chi sia questa gente qua. Non li ho mai frequentati. Nessuno di questi. E in tutti gli atti che ho visto non vedo un solo atto da cui si vedrebbe un rapporto di asservimento a Incalza. E poi perché mai dovrei essere asservito a Incalza?
Perché, secondo i magistrati, era il deus ex machina delle grande opere.
Io so solo che in tutte quelle pagine non trovo niente che giustifichi quella conclusione.
Non è solo un discorso di corruzione e reati, c’è anche un discorso di etica e di comportamenti.
Condivido totalmente. E penso che questa inchiesta sia un vulnus pazzesco. Proprio da quel punto di vista lì. Io mi ritengo totalmente estraneo a questo, ma penso che, prescindendo dai risultati giudiziari del processo, l’inchiesta abbia messo in mostra una contiguità tra politica e affari del tutto incompatibile con una sana amministrazione.
Ma se dei magistrati che sembrano aver fatto un lavoro meticoloso la ritengono «uomo di Incalza», forse è perché lei aveva in passato prestato il fianco a questa interpretazione. Mi riferisco al suo rapporto con l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, emerso dall’indagine sul Mose. Lì viene dipinto come uomo di Mazzacurati.
I magistrati di Venezia non hanno neppure ritenuto di dovermi sentire. E in quell’inchiesta non risulto mai oggetto di indagine o di reato. L’unico episodio che viene citato è una fesseria.
Perché una fesseria? Si parla di una vacanza in Toscana fatta con sua moglie e pagata da Mazzacurati che il Gip ha definito un «presente» del presidente del Mose.
Io sono stato due notti in Toscana e quando sono andato a pagare mi hanno detto che aveva “fatto” l’ingegnere. Io ho richiamato Mazzacurati dicendogli che la cosa andava sistemata. Ma poi, alla fine, ha pagato lui. Sicuramente, ex post, è stato un errore. Ma si può qualificare questo come indizio di asservimento in 20 anni in cui ha gestito centinaia di opere pubbliche?
Io faccio riferimento alla premessa che lei mi ha detto di condividere – e cioè ai comportamenti e della percezione di conflitto di interesse.
Ma lei lo sa quante prebende legittime può avere un funzionario pubblico? Qui al ministero e nella pubblica amministrazione io avrei potuto avere negli anni incarichi nelle commissioni di gara, consigli retribuiti, collaudi di opere. Invece non ho mai preso un euro. Anche se sarebbe stato legittimo. Ma se parliamo di contiguità, di asservimento… sa quanto sono pagati i collaudatori del Mose? Trecentomila euro, quattrocentomila euro. Ed è legittimo! Per tutto questo, dico che l’asservimento nei fatti non c’è stato… Vuole che i magistrati non mi abbiano controllato? Io ho uno stipendio, un mutuo e una casa. Finito. Così da 20 anni.
Parlando di percezione di conflitto di interesse c’è un’altra situazione di cui si rumoreggia a Roma e che le voglio sottoporre: sua moglie lavora per Autostrade per l’Italia e dalla sua scheda in LinkedIn risulta che si occupa di «aspetti applicativi del contratto di concessione». E lei è al vertice del ministero che governa quelle concessioni.
Innanzitutto mia moglie e la sua famiglia sono di un’onestà specchiata... chieda la retribuzione di mia moglie in Autostrade, è la dirigente peggio pagata… Se sugli altri punti capisco che ci sia materia, su questo no. L’ipotesi di un conflitto di interessi con mia moglie, per come stanno i fatti e la totale estraneità mia e di mia moglie a qualsiasi vicenda di carattere regolatorio, mi lascia senza parole.
Beh, a me pare che un vulnus che emerge dall’inchiesta di Firenze sia quello della cultura dei favori. Al figlio di Lupi come ad altri.
Io penso che il vulnus di questa inchiesta non sia tanto il figlio di Lupi bensì la contiguità affaristica tra pubblica amministrazione e mondo del business. E questa è una cosa a cui mi dichiaro estraneo in tutti i possibili sensi del termine.
Non era consapevole che Incalza fosse espressione proprio della contiguità di cui parlano le indagini?
È una cosa che si diceva. Io non ero minimamente avvertito o a conoscenza di nessuno dei fatti citati. Nessuno. Io queste persone non so neanche chi siano. E i fatti dimostreranno se è così o meno.
Resta il fatto che Incalza ha sponsorizzato lei per il posto che lui si prestava a lasciare.
Se lei avesse la possibilità di sentire tutte le telefonate che stanno avvenendo in questo momento nei ministeri romani, lei sentirebbe mille, duemila persone che sponsorizzano altre 10mila persone… Ma non voglio eludere la domanda. Se mi chiede perché Incalza dice che è bene che rimanga Signorini? Perché Incalza sa che, quando vado a fare il capo della Struttura di missione, non mi metto a perseguitare, a cercare colpevoli o a indagare a destra e manca. Faccio il capo, la cambio, la rinnovo – come sto facendo.
E il rinnovamento è quello che interessava a Incalza? Non è l’immagine che emerge dall’inchiesta.
Quello che dico è che i magistrati prendono un’intercettazione in cui si dice «rimanga lui». Ma qui a Roma in questo secondo ci sono 2.000 persone che stanno facendo la stessa cosa su 2.500 nomi. L’altra cosa è che Incalza facendo il mio nome, fa il nome di uno persona che non è uno sfascista. Questa per me è l’unica interpretazione possibile. Anche perché negli atti dell’indagine non c’è niente che giustifichi altre spiegazioni.
Quindi lei, nella vita professionale, pensa di aver fatto un solo errore di cui si pente, quella vacanza pagata da Mazzacurati?
Quello è stato sicuramente un errore. Ma, come ho detto, penso che conti molto di più l’onestà sulle cose vere: gli incarichi, i collaudi, i doppi stipendi. Penso che per valutare l’onestà di un funzionario pubblico conti quello.
Non ha risposto: quella vacanza è l’unico errore che pensa di aver fatto?
Sì, assolutamente sì. Ma vorrei aggiungere una cosa: con inchieste che partono da un dato evidente di qualcosa che non funziona a livello di sistema, come questa, si creano situazioni indistinte. Per cui sui giornali c’è Incalza, c’è Signorini, come se fosse tutta una stessa parrocchia.
Come si può fare dunque perché nell’amministrazione pubblica non facciano carriera solo gli amici degli amici?
Come dissero Tommaso Padoa-Schioppa e Mario Monti, l’Italia è un Paese che ha nelle rendite e nel potere delle lobby che conservano queste rendite il principale vulnus. Queste rendite fiaccano l’amministrazione. L’amministrazione è debole, i funzionari sono deboli perché non possono contrastare queste lobby. La principale debolezza che ho avvertito in tutti i miei anni nell’amministrazione pubblica è che soccombe a queste lobby. E molte volte diventa connivente, molte volte si allea. Questa cosa poi percola ai livelli più bassi. L’amministrazione deve essere invece più forte.
C’è però anche il problema opposto: dei funzionari che per fare carriera si coltivano le lobby, politiche o affaristiche.
Condivido. È l’altra faccia della medaglia.
Ma secondo lei il sistema è popolato dagli Incalza e gli incalzini, oppure dai signori e i Signorini?
Secondo me il sistema è in larga parte popolato da gente onesta. Ma l’onestà non basta. Perché oggi il pubblico funzionario, nel far rispettare le regole nei confronti dell’esterno, non sente di avere dietro le spalle un’amministrazione coesa.
Lei è nel Cda della Torino Lione. Non sente l’amministrazione coesa dietro a lei?
Faccio un esempio: se bisogna decidere su un determinato tracciato progettuale, chi decide? L’amministrazione, in una conferenza di servizi con gli enti locali e le associazioni dei cittadini? Oppure ci sono interventi di soggetti forti che interferiscono sulla scelta? Con un’amministrazione forte è il responsabile del procedimento che guida il tutto. Invece oggi si ha l’impressione che questa gestione sia sottratta all’amministrazione.
Ed è questa debolezza a spingere certi funzionari a far parte del sistema dei favori e delle lobby?
Se l’amministrazione è debole – e qui ce n’è per tutti, perché le lobby in questo Paese intervengono a ogni livello – è più facile che questi comportamenti devianti attecchiscano.