Corriere della Sera, 24 marzo 2015
La resurrezione di Sarkozy, nonostante le vicende giudiziarie e nonostante Carlà. Amici e nemici si disputano interpretazioni benevole e critiche feroci – voglia di rivincita, servizio al Paese, ego smisurato, bulimia di potere – ma di tutte la più aderente al personaggio è l’incapacità di stare lontano dalla politica
Soltanto chi non lo conosce, o non ne abbia sentito parlare, potrebbe dubitare delle ambizioni di Nicolas Sarkozy. A che servono ritorno alla politica attiva, scalata alla presidenza del partito, energia profusa nella campagna elettorale di questi giorni se non a prepararsi alla madre di tutte le battaglie, la riconquista dell’Eliseo? Amici e nemici si disputano interpretazioni benevole e critiche feroci – voglia di rivincita, servizio al Paese, ego smisurato, bulimia di potere – ma di tutte la più aderente al personaggio è l’incapacità di stare lontano dalla politica, nonostante soldi, privilegi riservati agli ex capi di Stato, conferenze ben retribuite e avviso contrario della consorte Carla Bruni, divisa fra esibizioni canore e campagne pubblicitarie, poco entusiasta di rientrare nei panni di première dame, cioè nel «frullatore» di impegni istituzionali senza un attimo di tregua.
I risultati delle elezioni di domenica sembrano dargli ragione. L’Ump, il partito gollista, ha vinto, ha arginato l’onda del Front National di Marine Le Pen, ha sconfitto il partito socialista del presidente François Hollande. Il sogno di tornare per la seconda volta sull’altare dunque si avvicina. Tuttavia, se le premesse di una candidatura ci sono tutte – e non potrebbe essere diversamente, con in mano le redini del partito, ossia la macchina elettorale – le condizioni per correre davvero e per la vittoria finale non sono affatto riunite.
Una prima riserva rimanda a un’interpretazione meno semplificata del voto di domenica. Il Front National è comunque in ascesa, è radicato nel territorio, ha rotto il tradizionale bipartitismo francese. Oggi la concorrenza è fra due destre e non è detto che ad approfittarne non possa essere alla fine il candidato più debole, cioè Hollande. È il presidenzialismo, bellezza….
La scelta tattica di Sarkozy è stata di arare il terreno del Front, con uno spregiudicato copia-incolla di provocazioni e proclami sui temi dell’immigrazione, dell’identità nazionale, della revisione di Schengen, delle radici cristiane della Francia, spingendosi anche a stigmatizzare l’alimentazione differenziata nelle mense scolastiche, come a dire che chi non mangia maiale vada nelle scuole private. La barriera invalicabile, rispetto alla Le Pen, è la scelta europeista, ma non è detto che questo basti a tranquillizzare quanti, nell’area di centrodestra, vorrebbero un più nobile ancoraggio a tradizioni golliste e repubblicane e meno strizzate d’occhio al populismo.
I rischi di frammentazione dell’elettorato e di candidature concorrenti nella destra sono evidenti, anche perché – stando ai sondaggi – il ritorno di Sarkozy all’Eliseo piace soltanto a 2 francesi su 10 e non è auspicato nemmeno da tutta la base dei militanti. Molte simpatie – anche nell’establishment imprenditoriale e finanziario – vanno ad Alain Juppé, ex premier e oggi sindaco di Bordeaux, convinto che la destra possa tornare all’Eliseo senza inseguire le isterie della Francia profonda, bensì alleandosi al centro moderato e andando alla conquista dell’elettorato stanco della sinistra ideologica e corporativa e deluso dall’incapacità di Hollande di modernizzare e riformare davvero il Paese.
Al di là delle differenze di strategie, è poi l’immagine dei due potenziali rivali a sollevare non poche riserve sui sogni di Sarkozy. Alain Juppé non è un mostro di simpatia e comunicazione, ma appare più solido e credibile, oltre che al riparo da ogni genere di pettegolezzi e insinuazioni, sia sulla vita privata, sia sulla carriera pubblica, con la sola eccezione di una vicenda marginale, pagata a caro prezzo e per conto terzi, ossia per il suo «padre» politico Chirac, al tempo in cui lavorava al municipio di Parigi.
Al contrario di Sarkozy, sul quale pesano come un macigno vicende giudiziarie e interrogativi su atteggiamenti non processabili, eppure non opportuni, secondo la stampa che li racconta, per chi vuol essere «presidenziabile». Basti dire dei privilegi da ex, delle conferenze, sempre da ex, negli Emirati Arabi, del «cerchio magico» di consiglieri e politici finiti a più riprese sotto inchiesta. Di sicuro, anche in Francia, le indagini sono una cosa e le condanne un’altra, ma il «presidenziabile» deve guardarsi da tante Procure (e conseguenti rivelazioni di stampa) a proposito di finanziamenti illeciti della sua campagna elettorale, di fatturazioni del partito taroccate, di soldi che sarebbero arrivati dalla Libia di Gheddafi e dall’ereditiera de L’Oreal, di pressioni sulla magistratura, di affari di Stato, come il risarcimento milionario accordato al finanziere Bernard Tapie, grazie a un controverso arbitrato in cui è coinvolta la presidente del Fondo monetario, Christine Lagarde.
Tutto potrebbe risolversi in fumo, ma il popolo della destra rimprovera a Sarkozy anche le promesse mancate, il deficit pubblico esploso, le riforme rimaste nel cassetto delle buone intenzioni. E, in fin dei conti, l’avere consegnato il Paese alla sinistra e a Hollande, vincitore più per saturazione del «sarkozismo» che per reale consenso popolare.
A sessant’anni, Sarkozy ripete le stesse promesse e giura di essere cambiato lui per cambiare davvero la Francia. Ma nella Storia i francesi hanno amato soltanto il ritorno di Napoleone. E se ne sono pentiti subito.