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 2015  marzo 24 Martedì calendario

«Così la Cassa Depositi aiuterà le imprese italiane a fare sistema». Parla l’ad Gorno Tempini: «Il nostro Fondo Strategico Italiano è appena entrato a far parte del più ristretto e prestigioso club di Fondi sovrani. Ci sono colossi finanziari come Singapore, il Qatar o i norvegesi. Come vede lo Stato azionista ha un ruolo dappertutto»

Per aiutare le imprese italiane a essere più competitive e a sfruttare quel motore di crescita cruciale rappresentato dall’export e dall’internazionalizzazione servono di certo strumenti finanziari; ma c’è bisogno anche di una componente industriale che si concentri sul funzionamento delle filiere produttive. Vediamo spesso, anche in esperienze straniere, come nei Paesi più competitivi ci siano dei capofiliera di riferimento che aiutano tutte le aziende che lavorano con loro ad essere più efficienti».
Proprio ieri, così, negli uffici di Giovanni Gorno Tempini, amministratore delegato di Cassa Depositi e Prestiti e presidente del suo Fondo Strategico Italiano, si sono riuniti a porte chiuse tutti i capiazienda delle partecipate dalla stessa Cdp – dall’Eni, a Terna – e dal Fondo, oltre a una serie di altri amministratori delegati di grandi aziende che «in tutto rappresentano circa 400 miliardi di fatturato», per lanciare una nuova fase nella strategia della Cassa: in un periodo nel quale le condizioni del credito per le aziende stanno migliorando e le prospettive dell’economia sono più ottimistiche, Gorno Tempini punta a utilizzare l’intera strumentazione del gruppo Cdp per aiutare le imprese italiane grandi e meno grandi a «fare sistema».
Da cosa nasce questo passaggio della vostra strategia?
«È la naturale evoluzione di quello che abbiamo fatto fino ad oggi: prima con Cdp, poi con il Fondo Strategico che è nato tre anni fa proprio per prendere quote di aziende strategiche con l’obiettivo di farle crescere, e infine del Fondo Italiano d’Investimento, che si pone obiettivi simili per le Pmi ed è diventato il più grande investitore di venture capital in Italia. Abbiamo sempre un ruolo da azionista che si basa su tre P – siamo pazienti, produttivi e proattivi – e vogliamo far sì che le aziende da noi partecipate crescano con un effetto positivo anche per il Paese nel suo complesso».
In che modo contate di operare?
«Quello di oggi (ieri, ndr) è stato un primo incontro, da cui sono emerse indicazioni interessanti. Vediamo due possibili linee di azione: la prima è far sì che l’esperienza di settori e filiere sia un continuo elemento di confronto e sviluppo, ripetere anche esperienze come quella appena fatta; poi inizieremo a vedere che lavoro si può fare nelle singole aree».
In concreto?
«Le faccio qualche esempio: per ogni euro che Fincantieri fattura, le imprese del suo indotto ne fatturano quattro. Vogliamo vedere se queste aziende possono lavorare al meglio, sempre nel rispetto delle regole? Oppure vogliamo capire come far nascere una filiera del settore termomeccanico basandosi sulla forza di Ansaldo Energia?».
Fare sistema significa anche promuovere aggregazioni?
«Di sicuro, ma non solo. Oltre certe dimensioni le aziende hanno evidenti vantaggi competitivi, specie in un mercato sempre più globalizzato. In Italia invece c’è una cronica sottocapitalizzazione delle imprese da cui deriva in larga parte anche il nanismo industriale del Paese. Esistono appena 23 multinazionali italiane con fatturato superiore ai 5 miliardi, rispetto alle 51 che troviamo in Francia e alle 134 in Germania. L’intervento del gruppo Cdp, con i suoi vari strumenti, può servire anche a togliere alibi a quegli imprenditori che non aprono il capitale al private equity o alla Borsa. Siamo soci non invadenti, ma attenti, e possiamo aiutare chi ha le capacità e la volontà a svilupparsi».
Ma non le pare contraddittorio questo tentativo di fare sistema nazionale mentre Finmeccanica vende Ansaldo Breda e Sts ai giapponesi, mentre i cinesi entrano nella vostra Cdp Reti e un altro soggetto cinese prende il controllo di un nome glorioso come Pirelli?
«Non credo nell’italianità a priori. Penso che ciò che va considerato è la qualità di un azionista a prescindere dalla sua nazionalità. Non mancano certo gli esempi di cattivi azionisti italiani e di buoni azionisti stranieri o viceversa. E poi, se c’è un problema in Italia è quello che finora l’attrattività per i capitali stranieri è stata inferiore a quella che sarebbe potuta essere».
Cdp è impegnata anche su molti fronti caldi. Che succederà sulla rete a banda larga, dove voi avete il 40% di Metroweb ma Telecom pare intenzionata a proseguire con la sua rete?
«Mi pare che si sia fatta finalmente chiarezza su un punto: l’Italia ha bisogno di una rete in fibra, e questo viene prima degli interessi delle singole aziende. Noi pensiamo che Metroweb debba essere la base di questa rete e andremo avanti per questa strada. Se si può avere una sola rete è meglio per tutti: occorre evitare una duplicazione di sforzi».
Parole chiarissime. E il cosiddetto Fondo di turnaround che dovrebbe entrare in aziende in crisi e che arriverà prossimamente al Consiglio dei ministri? Cdp entrerà nel suo capitale?
«In questa fase dell’economia italiana il settore dei turnaround è molto interessante, tanto che vari operatori privati ci stanno pensando. Penso che per noi tutto dipenderà dal mandato che avrà questo fondo, che idealmente dovrebbe intervenire in imprese in situazione di difficoltà prevalentemente finanziaria o di management, ma che siano in una situazione industriale tale da essere salvate senza avere invece mandato di intervenire in aziende insanabili come la Gepi di una volta».
Con questa nuova mossa sul fronte delle imprese si riaccenderanno le polemiche sulla Cdp come nuovo Iri. Ne è conscio?
«Quella dell’Iri è un’esperienza legata a un determinato periodo che ovviamente non si può ripetere. Altra cosa è ragionare di quale ruolo può avere lo Stato come azionista e come investitore: se svolge questa sua funzione con trasparenza, efficienza e seguendo le regole di mercato, può essere un elemento di crescita per le imprese e per il Paese».
In nome del neostatalismo?
«No, in nome di politiche diffuse in tutto il mondo. Il nostro Fondo Strategico Italiano è appena entrato a far parte del più ristretto e prestigioso club di Fondi sovrani, dei quali stiamo organizzando il prossimo forum annuale che si terrà qui a Milano a settembre, durante l’Expo. Ci sono colossi finanziari come Singapore, il Qatar o i norvegesi. Come vede lo Stato azionista ha un ruolo dappertutto».