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 2015  marzo 24 Martedì calendario

Il declino dei sindaci arancioni: «Doria ha pasticciato su infrastrutture e privatizzazioni, De Magistris ha stressato un caudillismo inconcludente, Zedda si è alienato le simpatie dei giovani che lo avevano eletto chiudendo i bar della movida e Pisapia è stato troppo conservatore per la sinistra e troppo progressista per la destra orfana del berlusconismo». Insomma, un esercito di primi cittadini con poche idee e molto confuse

Pochi lo ricordano, ma il 12 dicembre 2012 al teatro Eliseo di Roma si tenne perfino l’assemblea fondativa del Movimento Arancione, magmatico fenomeno originato, un anno e mezzo prima, dalle elezioni amministrative vinte dai sindaci outsider e dai referendum. La rinuncia di Giuliano Pisapia a correre per un secondo mandato a Milano segna, simbolicamente, il fallimento di un ciclo politico anarcoide ma suggestivo.
I protagonisti venivano da storie assai diverse: l’avvocato garantista Pisapia, il pm arruffapopolo De Magistris a Napoli, l’aristocratico professor Doria a Genova, il giovane figlio del partito Zedda a Cagliari. In comune gli avversari (Berlusconi da una parte, la casta Pd dall’altra) e il popolo che li sosteneva, lo stesso che poche settimane dopo averli eletti plebiscitò i referendum su nucleare e acqua pubblica, osteggiati da Pdl e Pd.
Ugo Mattei, il giurista che scrisse i quesiti referendari e poi fu chiamato da De Magistris a guidare l’azienda idrica comunale, ricorda: «Fu un momento di rottura, la nascita di una forma di rappresentanza per un movimento che si radunò attorno alla difesa dei beni comuni – acqua, cultura, ambiente, servizi sociali – che i partiti non avevano capito».
Le performance amministrative sono state ovunque modeste: poche idee e confuse. Doria, cui difettano politicità ed empatia, ha pasticciato su infrastrutture e privatizzazioni. De Magistris ha stressato un caudillismo inconcludente, perdendo per strada tutta la squadra che lo aveva seguito a Palazzo San Giacomo. Zedda si è alienato le simpatie dei giovani che lo avevano eletto chiudendo i bar della movida al Poetto. Pisapia è stato troppo conservatore per la sinistra (urbanistica, Expo, municipalizzate) e troppo progressista per la destra orfana del berlusconismo (emergenza profughi). Amministratore dignitoso, certo il migliore della compagnia, ma come gli altri senza visione. Ma soprattutto nessuno dei sindaci senza partito (anzi eletti contro i partiti) ha promosso modelli amministrativi alternativi e partecipati. Risultato: i comitati civici che li avevano sostenuti sono evaporati nella disillusione.
A livello nazionale, si sono dimostrati egoisti e autoreferenziali. Nessuna consultazione, nessuna strategia comune. Tanto che il presidente dell’Anci ora è il torinese Fassino, l’unico sindaco di grande città eletto nel 2011 all’interno della logica dei partiti. Dal punto di vista politico, il trio Pisapia-Doria-Zedda è rimasto pigramente nell’ombra del «poeta morente» Vendola. De Magistris, prima di flirtare con Sel e Pd, si è bruciato con la fallimentare lista Ingroia. 
L’avvento di Grillo e Renzi, per ragioni diverse, ha fatto il resto. Ormai nemmeno chi ancora li sostiene pensa che i sindaci arancioni possano diventare qualcosa di simile alla greca Syriza o allo spagnolo Podemos. Sarebbe già un miracolo se uno di loro riuscisse a farsi rieleggere. Gli avversari che ne avevano giustificato l’ascesa – Pdl e Pd bersaniano – non esistono più. Esiste ancora il popolo, ma non vota più.