La Stampa, 23 marzo 2015
Lobbisti senza legge (e non per colpa loro). L’ultima inchiesta sugli appalti svela il mondo sotterraneo dei gruppi di potere. In Parlamento sono ferme 15 proposte. Entro quando una regolamentazione?
Vista l’intraprendenza forse non sarebbe servito ad arginarlo, ma se in Italia fosse in vigore una legge sulle lobby il «signore degli appalti» Ettore Incalza avrebbe dovuto tenere nota di ogni incontro avuto con imprenditori e lobbisti vari – compresi quelli col progettista Stefano Perotti finito pure lui in galera – registrando data, nominativo e motivazioni dell’incontro, e soprattutto una volta all’anno avrebbe dovuto rendere tutto noto pena multe salatissime.
L’Italia però una legge sulle lobby ancora non ce l’ha anche se dal 1976 ad oggi sono stati almeno 50 i progetti di legge messi in campo e addirittura 15 (ben 10 al Senato e 5 alla Camera) quelli presentati nel corso dell’attuale legislatura. Nonostante gli scandali ricorrenti e le ripetute baruffe in Parlamento, la questione sembra però uscita dall’agenda del governo che pure nell’ultimo Documento di economia e finanza si era impegnato a intervenire per regolare le relazioni fra gruppi di interesse e istituzioni. E intanto nei ministeri (e non solo in quello delle Infrastrutture) ed in Parlamento lobbisti e gruppi organizzati – dai taxisti ai concessionari dei giochi sino alle varie associazioni di settore alle altrettanto numerose e potenti aziende pubbliche o ex pubbliche – fanno il bello ed il cattivo tempo, stravolgono e affondano leggi e combinano affari tagliati su misura per loro come raccontano le cronache di questi giorni.
Obblighi, criteri e sanzioni
Dal Pd (che in Senato firma addirittura la metà dei 10 progetti di legge presentati negli ultimi due anni) sino all’Ncd, da Forza Italia agli ex grillini come Luis Alberto Orellana sino ai socialisti, tutti i partiti prevedono l’istituzione di registri pubblici dei lobbisti, criteri oggettivi per la loro selezione, l’introduzione di codici deontologici e precisi obblighi a carico sia dei portatori di interessi che delle controparti pubbliche. E ovviamente sanzioni per gli inadempienti e per chi rende informazioni incomplete che vanno da un minimo di 5-10 mila euro ad un massimo di 50-75-100 mila euro. Su un punto solo si differenziano: la gestione dei registri. Per la senatrice Puppato (Pd) deve toccare all’Autorità anticorruzione, per il collega Ranucci agli uffici di presidenza di Camera e Senato, per Dorina Bianchi (Ncd) all’Antitrust, per Giuseppe Marinello (ex Pdl, ora Ncd) al Cnel e per il senatore Luigi D’ambrosio Lettieri (Fi) a Palazzo Chigi.
Parlamento avanti piano
In Senato la commissione Affari costituzionali ha iniziato l’esame delle proposte solamente lo scorso gennaio. Alla Camera, nonostante il ddl presentato da Marina Sereni sia datato addirittura 13 aprile 2013, è invece tutto fermo. E il governo? Tanti buoni propositi, ma pochi fatti concreti. E del resto anche i tentativi più recenti, da quello di Prodi del 2007 a quello di Letta del 2013, non fanno ben sperare. Sono infatti tutti finiti in nulla soprattutto a causa delle alte burocrazie che non ci stanno a mettere in piazza i loro «affari» in nome della trasparenza. In Europa paesi come Regno Unito, Francia, Germania e Polonia hanno invece da anni meccanismi di regolazione più o meno efficaci. Particolarmente stringenti quelli varati di recente da Austria e Slovenia. A Bruxelles il database dell’Ue è operativo dal 2011 e conta ben 7mila lobbisti registrati su base volontaria: quelli italiani sono 602, pari all’8 per cento.
Ultimi per trasparenza
L’assenza di un registro dei lobbisti, secondo l’ultimo rapporto di Trasparency International, relega il nostro Paese in fondo alla classifica della trasparenza, con appena 11 punti su cento. Se a questo dato si aggiunge poi il livello relativo alle pari condizioni d’accesso (22 punti) ed un livello di integrità pari a 27, a causa dell’assenza di codici etici adeguati per lobbisti e decisori, si arriva ad una media finale di appena 20 punti. Contrapporre a queste cifre i dati sulla corruzione percepita è forse un gioco troppo facile, ma è altrettanto vero che stando al «Global corruption index» l’Italia in questa graduatoria è agli ultimi posti in Europa, al pari di Grecia e Bulgaria, e al 69esimo posto su 175 Paesi nella graduatoria mondiale. All’Italia vengono infatti assegnati 43 punti, gli stessi di Senegal e Swaziland.