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 2015  marzo 20 Venerdì calendario

Dal cognato alla moglie, il pericolo “familiari” in politica. Gianfranco Fini fu inguaiato dal fratello della consorte, Bossi dal Trota, Matacena finì incastrato per colpa della sua “Lady”

Ci sono figli che rovinano i padri, mogli che distruggono i mariti, cognati che azzoppano i cognati. Ma Freud non c’entra. C’entra la politica e, ancor più, gli affari. Affaroni e affarucci che stroncano carriere politiche. Il Rolex regalato a Luca Lupi (figlio) e il biglietto aereo pagato a Manuela (moglie) stanno mettendo in imbarazzo il ministro Maurizio Lupi, che peraltro è incalzato (è il caso di dirlo) da motivi di preoccupazione anche più gravi per la sua carriera di ministro. Ma è solo l’ultimo di una lunga serie di politici con imbarazzi in famiglia. Il cognato di Gianfranco Fini, Giancarlo Tulliani, è diventato un topos italico. La casa di Montecarlo è ormai una figura dello spirito. Una gioventù da fascista all’ombra di Giorgio Almirante, una svolta storica che, finita la Prima Repubblica, mette in archivio il Movimento Sociale per cercare di dar vita a una destra europea: tutto dimenticato per colpa del cognato, che compra a prezzo di favore una casa nel principato di Monaco lasciata da una dama nera in eredità al Movimento Sociale. Non occorre la macchina del fango per colpire invece il gran sindaco (decaduto) di Salerno, Vincenzo De Luca, ora incombente candidato del Pd alle regionali campane: di guai ne ha già tanti in proprio, il turbo-sindaco, ma l’ultimo gliel’ha aggiunto il figlio, Piero. Figlio d’arte: già componente dell’assemblea nazionale del Pd, è indagato per concorso in bancarotta fraudolenta nell’inchiesta sul fallimento del pastificio Antonio Amato. Secondo l’accusa, ha ricevuto 23 mila euro da una immobiliare controllata dal pastificio fallito, sotto forma di biglietti aerei per sé e per la moglie, destinazione Lussemburgo. Soldi sottratti a una azienda che già stava per saltare. L’imprenditore Giuseppe Amato racconta di aver dato al figlio d’arte anche una consulenza legale per seguire una pratica che era materia di decisione del papà sindaco: la trasformazione urbanistica dell’area industriale del pastificio decotto in croccante area residenziale.
Una collega di Lupi, Maria Elena Boschi, ministro per le riforme costituzionali e per i rapporti con il Parlamento, è bersagliata dalle critiche per colpa di papà: Pier Luigi Boschi è vicepresidente di Banca Etruria, commissariata a causa di una gestione (passata) che ha lasciato in eredità 400 milioni di perdite. La figlia fa comunque parte di un governo che ha deciso la sorte della banca del padre: da trasformare in società per azioni, come tutte le banche popolari di grandi dimensioni. Qualcuno, malevolo, ha messo in connessione il decreto governativo con i precedenti rialzi di Borsa delle banche interessate. Solo sospetti. Del resto, il ministro Boschi si difende anche dall’accusa di conflitto d’interessi in famiglia: quando il governo ha deciso la sorte della banca del padre, lei non c’era, era al Senato.
A proposito di ministri, Anna Maria Cancellieri, titolare dell’Interno, era presa tra due fuochi. Il figlio, Piergiorgio, lavorava per Salvatore Ligresti. Il marito, Sebastiano “Nuccio” Peluso, farmacista, è da una vita molto vicino al fratello di don Salvatore, Antonino, ex re delle cliniche. Però è lei, il ministro Cancellieri, a fare la telefonata che la rovina: alle 16.42 del 17 luglio 2013 chiama la compagna dell’amico Salvatore, appena messo in detenzione domiciliare nella sua villa di Milano, e si mette a disposizione : “Non è giusto, guarda, non è giusto... Qualsiasi cosa io possa fare, conta su di me”. Il figlio, brillante manager della finanza, ha lavorato per una vita nelle banche che finanziavano il gruppo Ligresti e poi nella sua Fonsai. Ma don Totò ora lo considera un traditore, perché quando si è trattato di scegliere se stare con lui o con le banche che a un certo punto lo hanno abbandonato, Peluso ha scelto le banche. Tanto da essere accusato di aver contribuito alla bancarotta delle società ligrestiane per salvaguardare i soldi che le banche ci avevano messo.
E Lady Matacena? Chiara Rizzo, moglie di Amedeo Matacena, si è fatta 192 giorni di detenzione per aver favorito, secondo i magistrati, insieme all’ex ministro dell’Interno Claudio Scajola, la latitanza a Dubai di suo marito, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. Il gioco delle coppie, tra Montecarlo (dove Lady Matacena abita), Imperia, Roma e Dubai.
Perfino l’unico ministro che ha messo alla porta Ercole Incalza, Antonio Di Pietro, ha avuto più d’una critica a causa del figlio Cristiano, accusato di aver fatto carriera dentro l’Idv solo grazie al suo cognome. Ma allora che dire di Umberto Bossi? Ha fatto di tutto per mettere sulla buona strada i suoi cuccioli, Renzo e Riccardo. Al primo, suo successore designato (“Se non proprio il mio delfino, almeno una Trota”) ha fatto perfino prendere la laurea che papà non aveva mai preso davvero: in Albania, a pagamento e a spese del partito, ma tant’è. Niente da fare: travolti tutti insieme, padre e figli, che con i soldi del gruppo alla Regione Lombardia si facevano rimborsare perfino il Gatorade.