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 2015  marzo 20 Venerdì calendario

Stati Uniti-Gran Bretagna, verso una crisi nei rapporti per i tagli alla Difesa. Londra potrebbe portare le spese militari sotto il 2% del Pil, nonostante l’ambasciatrice all’Onu Samantha Power avverta che la minaccia terroristica è in crescita

«La minaccia cresce, non cala». La forza della logica non manca a Samantha Power, il diplomatico americano che prima a Bruxelles e poi alla Bbc ha rivolto un appello al rispetto dei patti. Parole destinate agli alleati europei e a uno in particolare, la Gran Bretagna stretta da una very special relationship con gli Usa che non ha mai mancato di concretizzarsi sul fronte militare. Nonostante la «minaccia cresca», la spesa per la difesa “cala” al di sotto del 2% del Pil che la Nato considera il limite per garantire l’operatività migliore, o quantomeno accettabile, dell’Alleanza atlantica. In realtà sotto quella soglia lo è da un pezzo: solo quattro Paesi, Usa, Grecia, Estonia e Gran Bretagna appunto, non sforano il gradino minimo. Londra è ora in bilico fra il girone dei virtuosi e quello degli insolventi e probabilmente ci resterà fino alle elezioni del 7 maggio. Fino ad ora nessun ministro dell’esecutivo ha riaffermato la disponibilità a mantenere la borsa tanto aperta. Il ministro degli Esteri Philip Hammond s’è rifiutato sette volte nel corso di un dibattito televisivo di riaffermare il rispetto del principio del 2 per cento. L’unico che ha un desiderio incontenibile di parlare è il Cancelliere dello Scacchiere George Osborne per il quale la soglia va drasticamente abbassata e per questo la tensione con il premier cresce.
Un taglio ulteriore al budget di royal navy, air force ed esercito avrebbe un enorme impatto sia in termini ideali sia di concretezza militare. Londra sancirebbe nei fatti la distonia con Washington, offrendo al mondo un segnale in più del suo disimpegno internazionale. Non solo l’allontanamento dal cuore dell’Europa, con il referendum sull’adesione all’Ue promesso dai Tory, ma anche dalla relazione transatlantica con un “no” all’appello del partner di sempre. La voce di Samantha Powers è, infatti, solo l’ultima. Prima era stato il generale Raymond Odierno a denunciare la sincera “preoccupazione” del Pentagono per il minacciato taglio del Regno Unito al capitolo militare.
Parole che hanno spinto David Cameron a cercare una soluzione di compromesso. Downing street lavorerebbe ora per inserire nel budget della Difesa le spese di intelligence che almeno in parte, formalmente, sono escluse. I ragionieri del premier spulciano 1,9 miliardi di sterline assegnati ai diversi servizi di sicurezza per individuare voci che per gli standard Nato possono essere considerate “Difesa”. Quando Samantha Powers si riferisce a una «minaccia crescente» si riferisce anche a minacce non esattamente convenzionali – ebola ad esempio o l’intelligence per fronteggiare il terrorismo di matrice islamista – che però hanno imposto forme di mobilitazione militare.
Il governo di Londra, insomma, fa i conti, ma il ventilato maquillage contabile arriva dopo i calcoli autentici fatti dal Royal United Services Institute (Rusi) uno dei più accreditati think tank su temi della Difesa del Regno Unito. L’ipotesi presa in considerazione nell’esercizio dei ricercatori è un taglio del 10% della spesa militare nel corso della prossima legislatura, ipotesi non lontana dai piani di perpetua austerità immaginata dal Cancelliere George Osborne per riportare il Paese al pareggio di bilancio. La conseguenza sarebbe una contrazione dell’esercito a quota 50mila soldati, più o meno ai livelli del 1770 quando Londra dovette lasciare le colonie americane. Fino a qualche anno fa erano più di 100mila, ridotti ora a 80mila e destinati al minimo storico degli ultimi due secoli e mezzo se la previsione del Rusi si dovesse concretizzare.
Una decisione in questa direzione, per Londra, avrebbe il valore di una svolta storica, l’abdicazione al ruolo di fedele ancella dell’amico americano sui campi di battaglia del mondo, proprio mentre Mosca e Pechino aumentano i budget militari. Una mossa con implicazioni assai più ampie sul posizionamento stesso del Regno fra i grandi player della diplomazia mondiale che nessun trucco contabile potrebbe mai nascondere.