Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  marzo 20 Venerdì calendario

Jaber e Yassine, nati poveri, cresciuti fra gli islamisti. Così due ragazzi hanno giurato fedeltà allo Stato islamico e sono diventati assassini

Due giovani nati e cresciuti in una delle regioni più povere e turbolente della Tunisia, le montagne attorno al passo di Kasserine. Due ragazzi tunisini che hanno gravitato prima nei gruppi legati ad Al Qaeda, sono stati tentati dall’islam politico della branca tunisina dei Fratelli musulmani, il partito Ennahdha, e alla fine hanno fatto il salto nel buio nello Stato islamico. In Siria, poi Iraq, passando per la Libia. E sono tornati in Tunisia per colpire e morire, passando ancora una volta per la Libia. Il percorso dei due terroristi dell’assalto al Museo del Bardo assomiglia a quello dei fratelli Kouachi, quelli che hanno colpito la redazione di Charlie Hebdo. È l’andata e ritorno dei mujaheddin, i combattenti stranieri partiti a migliaia dal Maghreb e dall’Europa e che ora applicano in patria il loro micidiale bagaglio di esperienza e addestramento.

L’identità degli attentatori 
L’assalto al museo del Bardo ha però ancora molti punti oscuri. Anche sui nomi dei due terroristi uccisi. Il personaggio chiave è Jaber, o Saber, Khachnaoui, che però il primo ministro tunisino Habid Essid ha identificato in un primo momento come Hatem Khachnaoui. Trentacinque anni, era probabilmente il leader del commando. L’altro, Yassine Laabidi, 21 anni, era residente in un sobborgo di Tunisi, Ibn Khaldoun. Il quartiere è stato circondato ieri pomeriggio dalle forze di sicurezza ed è stata arrestata la sorella di Laabidi. Entrambi erano però nati a Sbetla, piccola città nella provincia di Kasserine. «Uomini delle montagne», cresciuti fra gli islamisti.
Il percorso
Il sito di informazione Tunisie-Secret, legato agli ambienti laici della rivoluzione che ha rovesciato Ben Ali nel 2011, ha ricostruito gli ultimi movimenti dei due terroristi. Erano stati nello Stato islamico, in Siria e in Iraq, a combattere. Ma prima, lo scorso settembre, si erano fermati in due campi di addestramento dello Stato islamico in Libia, come ha confermato il ministero dell’Interno tunisino. Sono rientrati in Tunisia il 28 dicembre. Khachnoui si era però fermato di nuovo in Libia, probabilmente a Sirte. In Tunisia entrambi si erano appoggiati al gruppo Ubqa Ibn Nafi, una costola tunisina di Ansar al Sharia, cioè di Al Qaeda, che dalla scorsa estate si sta avvicinando all’Isis pur non avendo ancora fatto giuramento di fedeltà. Un fruttivendolo insospettabile gli ha dato ospitalità nella città di Ettahir.
La dinamica dell’attentato
Al di là del groviglio di sigle, comunque, la cellula islamista li ha coperti fino a quando sono stati pronti a colpire nella capitale. Si sono trasferiti nel sobborgo di Ibn Khaltoun, dove aveva la residenza Laabidi. Hanno scelto il mercoledì, perché nella tradizione islamica è il giorno scelto da Allah per punire i nemici. Hanno preso il metrò e sono scesi alla fermata vicino al Bardo. O forse perché è il giorno che attraccano le navi da crociera. Sono entrati dalla porta posteriore, non sorvegliata. Poi si sono diretti verso il Parlamento, a pochi metri di distanza. Sono stati respinti e hanno ripiegato verso il parcheggio del Bardo. Lì hanno sparato contro il pullman dei croceristi, si sono asserragliati dentro il museo. 
La cellula nella capitale
Il governo tunisino ha detto ieri che sono stati arrestati altri «nove componenti del commando», un decimo «è ricercato». Il numero totale sarebbe quindi di dodici persone, mercoledì si era parlato di cinque. Altri sette arresti erano stati fatti poco prima dell’attacco. Le forze di sicurezza stanno di fatto smantellando una cellula nella capitale. Ma il gruppo di fuoco è verosimile fosse composto solo da due terroristi.
Le falle nella sicurezza
Le foto pubblicate sul Web dei terroristi uccisi mostrano due giovani vestiti casual, uno con una felpa rossa, scarpe da ginnastica ai piedi. Avevano due kalashnikov senza calcio, più facili da nascondere sotto i giubbotti. La sensazione è di un commando senza una grossa preparazione militare. Potevano essere fermati? Per Amine Slama, informatica esperta di cyberterrorismo che ha ricostruito i loro movimenti sul Web, sì: «Seguivo le loro tracce da due mesi, avrebbero potuto farlo anche i servizi». In effetti, ha ammesso il primo ministro tunisino Habib Essid, Laabidi, «era conosciuto e seguito» dai servizi, ma non considerato pericoloso.
I legami con Ennahdha
Tunisie-Secret sostiene anche che Khachnaoui apparteneva ai Fratelli musulmani del partito Ennahda. Il sito ha postato una foto (sopra) trovata sulla pagina Facebook del terrorista che lo mostra assieme all’imam Abdelfattah Mourou, già vicepresidente del Parlamento. Una foto che imbarazza il partito islamico che gioca ancora un ruolo, anche se minoritario, nell’attuale governo.