La Stampa, 20 marzo 2015
In volo con i parenti italiani delle vittime dell’Isis. Antonella è morta. I familiari avvisati pochi minuti prima del decollo e il comandante che fa le condoglianze al microfono
Quelli che si baciano sulla testa in continuazione e bevono una birra disperata, alle quattro del pomeriggio, sono loro. Sono i parenti di Antonella Sesino, impiegata del Comune di Torino, settore contabilità, scomparsa ormai da più di trenta ore nella carneficina del Museo del Bardo.
In una sala dell’aeroporto di Malpensa, il suo ex marito e i due figli, due ragazzi che si assomigliano come gocce d’acqua, sono in attesa di imbarcarsi sul volo 757 per Tunisi. Non sanno ancora la verità, ma la conosceranno fra pochi minuti.
Le urla al telefono
Il capofamiglia Lorenzo Barbero fa in tempo a urlare al telefono: «Dispersa cosa vuol dire? Va bene, cerco di stare calmo. Ragioniamo. Può essere ferita grave, potrebbe aver perso la memoria, essere senza documenti. Ma le speranze sono poche dai, lo sappiamo, non diciamo cose assurde. Questo silenzio…». Rimette il telefono nella tasca laterale del piumino verde, chiamano il volo all’imbarco numero 6. I parenti delle vittime salgono per ultimi, accompagnati da un funzionario del Comune e da un dirigente di Costa Crociere. Quando ormai il corridoio che porta all’aereo è completamente sgombro, squilla un cellulare. Si sente un urlo soffocato. Poi, il rumore come di un calcio contro qualcosa di ferroso. Quando ricompaiono, il papà e i figli hanno gli occhi pieni di lacrime. Il ragazzo più grande, Simone, uno chef, rivolgendosi a suo fratello, dice: «Giacomo, dai, forza, forza... Dobbiamo farlo per la mamma». L’hostess è una signora tunisina con i capelli tagliati alle orecchie, si infila dei guanti di pelle nera, apposta per stringere la mano agli ultimi arrivati. «Condoglianze» dice con accento francese.
L’abbraccio tra i figli
Ecco, questo è il primo volo di parenti italiani vittime dell’Isis. E non c’è niente che possa rendere la distanza e l’assurdità della situazione, meglio di questi due ragazzi che piangono in seconda fila. Si abbracciano dolcissimi e ripetono: «Facciamolo per mamma».
Il padre viene a sedersi vicino a noi. «Al telefono erano i funzionari dell’Unità di Crisi della Farnesina – spiega -. Mi hanno detto che hanno fatto il riconoscimento all’obitorio con le foto che avevano richiesto. Al 95 per cento è lei». Che brutta percentuale... «Si vede che è stato difficile riconoscerla, l’hanno rovinata in faccia», dice Lorenzo Barbero. «È una cosa a cui pensavo. Quando mi hanno chiesto se aveva dei segni particolari, mi è sembrato strano. E poi avevo capito già questa mattina a cosa saremmo andati incontro. Avevo detto al sindaco Fassino che sarei partito con i miei figli. E lui mi aveva risposto: “Forse non è il caso di portarli”».
Insieme per 27 anni
Il cielo è di un azzurro che ferisce gli occhi, un neonato piange nelle ultime file. «Eravamo una bella famiglia anche così», dice Lorenzo Barbero. «Unita, intendo. Anche se ci eravamo separati. Io e mia moglie siamo stati insieme ventisette anni, quando ci siamo fidanzati eravamo due bambini». Tutta la rabbia, adesso, è come evaporata. Non ha più senso. Non serve a niente. Prima, Lorenzo Barbero diceva frasi comprensibili come questa: «È stato un gravissimo errore! Che idea assurda portarli in visita al Museo del Bardo, proprio nel giorno in cui a Tunisi in Parlamento, lì vicino, si discuteva la nuova legge antiterrorismo». Diceva che suo figlio Simone era preoccupato al punto da aver detto alla madre: «È pericoloso. Non andare. A Tunisi ti ammazzano!». Ma adesso no, non dice più niente del genere. Questo padre, questo ex marito affezionato e stravolto, ora si mette a parlare a bassa voce. «Lei aveva l’idea, anzi il sogno, di fare una crociera, la prima crociera della sua vita. Era contenta. Ripeteva: “Vengono tutte le colleghe del Comune. È un’occasione”. Cosa potevo dirle?». Cosa le ho detto? «Ci siamo visti prima della partenza. Lei si è raccomandata: “Guarda i ragazzi!”. Io ho scherzato: “C’è mica Schettino al timone?”. Lei ha sorriso e ci siamo salutati».
Condoglianze in volo
Adesso, anche il capitano del volo 757 TunisAir fa le condoglianze al microfono. «Cosa possiamo dire? La vita è tutto». Tunisi dista un’ora e mezza da Milano. Arriviamo al tramonto. Sono tutti stanchi e il peggio deve ancora venire. Giacomo e Simone hanno due zainetti minuscoli sulle spalle, due giacche troppo pesanti per questi 17 gradi. Il programma è il peggiore che si possa immaginare, salgono su un pulmino travolti dal traffico.
L’arrivo in ospedale
L’ingresso dell’ospedale Charles Nicole è quasi sotto un cavalcavia. Alle sette di sera aprono e chiudono un grosso cancello verde. Guardie, taxisti, malati, ambulanze decrepite. Una televisione italiana ha la telecamera puntata all’ingresso, dove campeggiano cinque palme maestose. E tutti ti guardano, tutti si scusano. La dottoressa del reparto di rianimazione: «È una cosa terribile quella che è successa. Siamo con voi. Siamo desolati». Un meccanico in visita alla madre: «Non lasciateci soli. Aiutateci». È qui che arrivano, infine, anche Lorenzo e Giacomo Barbero (Simone invece ha preferito rimanere in albergo). Entrano e vengono accolti da un’infermiera. Adesso, più che abbracciarsi si sorreggono. Li portano da una psicologa. Lungo il vialetto qualcuno telefona, il ragazzo dice: «Voglio andarmene da qui, non mi piace...». Stanno per indicargli la camera mortuaria, laggiù al fondo, dove è tutto buio e per fortuna le telecamere non possono arrivare. Sono venuti a riconoscere una mamma in crociera, finita al centro di questa nuova guerra mondiale.