La Stampa, 20 marzo 2015
Maurizio Lupi si è dimesso e ha fatto bene. Il garantismo non c’entra nulla, qui si tratta di faccende politiche. Questioni di dignità e di opportunità
Forse si ricomincerà a mettere un po’ di ordine nelle cose, che da vent’anni sono sottosopra.
Ieri, per esempio, i commenti di alcuni giornali e di alcuni parlamentari insistevano sull’estraneità del ministro all’indagine: «Ma come, deve andarsene anche se non ha ricevuto nemmeno un avviso di garanzia?».
Eccola una delle peggiori eredità di Mani pulite.
Un’inchiesta dalla quale abbiamo imparato a riconoscere i politici buoni negli assolti e i politici cattivi nei condannati, come se qualsiasi altra categoria o sfumatura non esistesse. E ne vediamo, anche in questi giorni, che sventolano e rivendicano assoluzioni e proscioglimenti come attestati di purezza e prove di persecuzione. Spiace ritirare fuori i nomi di gente che ha patito e sta ai margini, come Claudio Scajola che a ogni intervista ripete: «Avete visto? Sulla casa vista Colosseo non avevo commesso alcun reato». Fu solo macchina del fango, dice. Eppure ne è uscito perché il giudice gli ha creduto: gli hanno pagato la casa e lui non se ne è accorto. Davvero a sua insaputa. Il giudice gli ha creduto e gli crediamo anche noi, ma fa differenza? Vogliamo per ministro, e ai Lavori pubblici, uno a cui pagano la casa e lui non se ne rende conto? Lo stesso vale per Gianfranco Fini – innocentissimo – ma è un leader credibile uno che vende un quartierino monegasco di An e casca dalle nuvole quando scopre che se l’è preso il cognato?
Il garantismo non è questo. Il garantismo è ricordare che Marco Milanese, l’ex collaboratore di Giulio Tremonti (e per un certo periodo fu l’uomo più brutto, sporco e cattivo d’Italia) s’è fatto cinque mesi di carcerazione preventiva e poi la Cassazione ha detto: no, non è corruzione, al massimo millantato credito, scarceratelo. Ma qui stiamo parlando di faccende penali. Nel caso di Lupi e di Scajola e di Fini le faccende penali non c’entrano proprio nulla. Sono faccende politiche. Questioni di dignità e di opportunità. E buona parte del successo elettorale del Pd dipende da un atteggiamento nuovo: Matteo Renzi voleva che Annamaria Cancellieri facesse un passo indietro perché rassicurare dei cari amici (i Ligresti) sulla figlia detenuta era umanamente comprensibile ma sconveniente per un ministro della Giustizia. È il tentativo di riconquistare un’autonomia, un metro di giudizio diverso, perché è folle lamentarsi delle invasioni di campo della magistratura e poi far dipendere la valutazione di sé dal lavoro dei tribunali. Ci sono responsabilità penali di nessun rilievo politico e responsabilità politiche di nessun rilievo penale. Il giorno in cui la politica (e speriamo che quel giorno sia vicino) avrà recuperato una sua scala di valori seria e rispettabile, avrà anche riconquistato la caratura di potere autonomo dal potere giudiziario, e disporrà dell’autorevolezza per selezionare una classe dirigente e per varare riforme, anche della giustizia, su cui ci sia poco da ridire.