Corriere della Sera, 20 marzo 2015
La pizza margherita sbagliata. Il pomodoro dopo la cottura e la riduzione di basilico. Quando da un errore nasce una meraviglia
Eh no, le pizze non sono tutte uguali. Questo banale concetto diventa comandamento granitico dopo l’incontro con una pizza di Franco Pepe, come il «Casolare», dal nome del piccolo caseificio da cui arrivano i formaggi del ripieno, scamorza affumicata, ricotta, mozzarella (in più la salsiccia). Franco, con quell’aria da ricercatore universitario, è un altro dei meravigliosi artigiani che fanno speciale, umanamente e gastronomicamente, la provincia italiana. Il suo posto delle fragole, pardon delle pizze, è Caiazzo nell’alto Casertano, (200 metri sul livello del mare) ai piedi del Monte Grande, della catena dei Trebulani. Franco Pepe è un cantore del territorio che si può ammirare dalla terrazza del palazzo del ‘700 che ospita «Pepe in grani».
Perché la sua pizza non è come tutte le altre? Perché alla base c’è la ricerca. A cominciare dai mulini. «C’è una spiegazione al fatto che al Nord siano andati avanti e noi siamo rimasti indietro. Da noi ci sono pochi mulini e poi sul discorso qualità si è fatta poca formazione». La pizza di Franco Pepe, come quella dell’emergente Ciro Salvo (50 Kalò, anche lui attento nella selezione dei prodotti), dei suoi fratelli a San Giorgio a Cremano, di Enzo Coccia (La notizia) percorre il sentiero ricerca-qualità. Franco viene da una famiglia di panificatori, è cresciuto in un panificio poi pizzeria, con nonno Ciccio e papà Stefano. Dopo la morte del padre ha continuato con i fratelli e da tre anni si è staccato avviando il suo progetto, in poco tempo diventato un luogo di eccellenza e di approdo di tantissime persone, amanti della pizza e della buona tavola in genere.
La sua concezione diversa della pizza si basa sulla lavorazione e sull’eccellenza delle materie prime casertane, campane ma non solo. Franco Pepe ha coinvolto agronomi, nutrizionisti per lo studio dei prodotti, inventandosi il «long food», antitetico al solito approccio alla pizza, una birra e via. Un percorso di degustazione e di assaggio. «Pepe in grani» è pizzeria, laboratorio aperto, locanda: «Offro la possibilità a chi viene da fuori di degustare la mia pizza, rimanere con me e vedere quali prodotti utilizzo». Ho avuto la netta percezione che molti clienti sentivano questa necessità. La gente ora vuole sapere che cosa mangia, l’asse si è spostato dal buono al sano. E con un approccio scientifico si può sicuramente dire che la mia pizza è sana».
Ma sano è anche buono, infatti le pizze di Franco sono anche buonissime. Qualche esempio. Il «Sole nel piatto» con piennolo del Vesuvio, acciughe di Cetara, mozzarella, origano del Matese e olive caiazzane. Il grande «classico di papà» (che mandava in sollucchero Gino Veronelli) il calzone con scarola riccia cruda, olive, capperi di Pantelleria, acciughe di Cetara, senza mozzarella, senza pomodoro. E poi, in esclusiva per Scorribande, l’ultima creazione: la margherita sbagliata. «Non è ancora in menù: parto solo con la mozzarella nel forno, dopo la cottura aggiungo un pomodoro dell’Ottocento della zona collinare di Caiazzo riscoperto grazie a dei semi antichi (ricco di polifenoli) con riduzione di basilico». Sbagliata, ma meravigliosa.