Il Messaggero, 19 marzo 2015
Il ritorno (in tavola) della pajata. Nuovo regolamento europeo sui bovini: dopo quattordici anni di bando in seguito all’allarme Mucca pazza, via libera da Bruxelles a uno dei piatti cardine della cucina romana. Per la gioia dei gourmet e degli chef, finora costretti a usare le interiora di agnello. Arcangelo Dandini: «Era una delle ricette forti di mia nonna, ora ci farò anche i supplì»
Poteva sembrare un dialogo fra pusher e consumatore: «Ne hai un po’?». «Certo». «Ma… è sicura?». «Sì, ed è pure buona». E in fondo un po’ lo era, perché fino a martedì, nei ristoranti, se volevi un primo con la pajata, lo dovevi chiedere sottobanco. Di fatto quello che veniva poi propinato al cliente era una (lecitissima) pajata di agnello, ma intanto il brivido da trasgressione che passava per le papille del cliente era tale da farla sembrare la più buona al mondo. Il motivo di tutto questo si chiamava “mucca pazza”, ma ora non è più così, perché l’Unione Europea ha di nuovo reso lecita la macellazione e la commercializzazione della pajata, che è la prima parte dell’intestino tenue del vitello.
LA DECISIONE
Qualcuno potrà pensare che la decisione è stata frutto dello spirito gourmet del Comitato permanente vegetali, animali, derrate alimentari e mangimi dell’Unione Europea che a Bruxelles ha appena votato a favore della modifica del regolamento comunitario n. 999/2001 sulle misure di prevenzione e controllo dell’encefalopatia spongiforme bovina (Bse), la cosiddetta “mucca pazza”. Ma in realtà la decisione che abolisce il divieto parte dal giudizio positivo dell’Organizzazione mondiale per la sanità animale (OIE) che a maggio del 2013 aveva adottato la risoluzione che ufficialmente sanciva per l’Italia un nuovo stato sanitario per la Bse, con il passaggio dal livello di rischio “controllato” a quello “trascurabile”. «La decisione della Commissione Europea – ha dichiarato il presidente di Coldiretti, Roberto Moncalvo – è una giusta conseguenza del fatto che dal 2009 non si registrano in Italia casi di mucca pazza, ed è un risultato importante: innanzitutto sul piano gastronomico, ma anche su quello economico, valorizzando l’allevamento italiano in un momento di crisi».
Grande soddisfazione anche da Massimo Pallottini, general manager del CAR, il mercato all’ingrosso della capitale: «La decisione sancisce il ritorno di una specialità molto richiesta dai cultori della gastronomia più autentica, visto che – come ha dimostrato il caso di Cracco e l’Amatriciana – non sempre l’attenzione per le materie prime si rivela adeguata». Il nuovo regolamento dovrà essere pubblicato sulla nostra Gazzetta Ufficiale.
I CUOCHI
Ma cosa ne pensano gli chef romani? «I rigatoni con la pajata erano uno dei piatti forti di mia nonna, per me poterla cucinare di nuovo è come tornare all’infanzia – ammette uno dei più celebri chef romani, Arcangelo Dandini, titolare del ristorante “L’Arcangelo”- Qualche volta ho usato anch’io la pajata d’agnello, ma l’effetto non era lo stesso, e poi io sono uno rispettoso della tradizione». A quando un supplì alla pajata da “Supplizio”, altro suo locale? «L’idea è ottima! Già faccio i supplì alle animelle, ma pure la pajata si adatta benissimo».
Lo chef che ha saputo, in tempi di mucca pazza, costruire uno dei suoi migliori piatti dalla pajata d’abbacchio è Marco Pasquali di “Iotto”, a Campagnano di Roma: «Ora ci sarà una fortissima richiesta di pajata da parte dei gourmet – dice – tornerò a fare pure quella arrostita sulla graticola». In attesa che i migliori chef della capitale riportino a tavola la tanto attesa pajata, l’evento è già stato festeggiato dalla Coldiretti che ieri hanno preparato una maxipajata a Palazzo Rospigliosi.