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 2015  marzo 19 Giovedì calendario

Il giallo della cartolina retrodatata che mette in dubbio l’autenticità del diario postumo di Eugenio Montale. Un appello di 120 italianisti alla curatrice Annalisa Cima, ultima musa del poeta: «Tiri fuori gli originali»

«Gentilissima Signora Cima, questa lettera Le giunge sottoscritta da oltre centoventi studiosi che operano in oltre trenta diverse sedi italiane ed europee. La ispirano amore di verità e desiderio di confronto scientifico. Confidiamo in un Suo riscontro». Il tono è cortese, come d’obbligo, la sostanza è durissima. Riguarda il Diario postumo di Eugenio Montale, ovvero le poesie che il poeta avrebbe consegnato in diverse occasioni all’ultima musa, col mandato di pubblicarle dopo la sua morte. Il che è stato fatto, ma tra polemiche d’ogni genere.
Quel Diario postumo pubblicato da Mondadori, autenticato sulle prime da Gianfranco Contini, Mariella Bettarini, Maria Corti e Cesare Segre – e contestato però tra gli altri da Dante Isella e Giovanni Raboni – è da sempre oggetto di controversia. Ora molti ricercatori si sono convinti che sia un apocrifo. La polemica si è rinfocolata in occasione di un convegno all’Università di Bologna, nel novembre scorso, dove le presunte poesie di Montale sono state fatte letteralmente a pezzi. Ora la mossa decisiva: con una lettera aperta gli italianisti chiedono a Annalisla Cima di rendere finalmente pubblici gli originali delle carte e degli altri documenti in suo possesso.
Lo spunto è una sua intervista a La Stampa di qualche mese fa, dopo il convegno di Bologna, in cui diceva, a proposito degli autografi del Diario postumo, che «sarebbe stato sufficiente chiedermeli». «Proprio questo – scrivono ora i professori – vorremmo invitarLa a fare: mettere a disposizione tutti i documenti utili a un’analisi approfondita e pacata dei dati». I firmatari (che vanno da Luigi Blasucci, Giulio Ferroni, Romano Luperini, Pier Vincenzo Mengaldo, Pasquale Stoppelli a Federico Condello, Paolo Italia o Alberto Casadei, tra i più attivi nella condanna del Diario postumo) dichiarano di esprimere «posizioni diverse in merito all’autenticità della raccolta»; tutti però vogliono, come si suol dire, le carte finalmente sul tavolo. Anche perché nel frattempo si accumulano prove piuttosto pesanti.
La vicenda è un vero giallo filologico, dove non mancano i colpi di scena, e ora una muta di detective che non ha più troppi dubbi in proposito. Un libro di Federico Condello (I filologi e gli angeli. È di Eugenio Montale il Diario postumo?, Bologna, Bup, 2014) e il convegno all’Archiginnasio bolognese hanno inferto duri colpi, fino alla conclusione che quella raccolta di poesie sia «in tutto o in gran parte frutto di una falsificazione, per di più grossolana», come ripete il professor Condello.
Intanto si aggiungono altre ricerche, che stanno per essere pubblicate in rivista e in un volume della Bononia University Press, mentre il Sistema bibliotecario centrale ha ritirato l’attribuzione a Eugenio Montale. Alcune di queste sono degne di Sherlock Holmes. Paola Italia, per esempio, ha avuto l’idea di sfidare gli archivi ministeriali per una cartolina di Forte dei Marmi (disponibile in fotocopia) sulla quale è vergata con correzioni e ripensamenti una poesia datata 1976. Ma anche le cartoline, questo non lo sa quasi nessuno, sono databili, se pure con grande difficoltà: perché riportano il numero di autorizzazione ministeriale.
Non è facile risalire a quando sia stata concessa, ma con molta pazienza (e un piccolo aiuto da parte di un amico, come direbbero i Beatles, che sia esperto in archivi e burocrazie) ci si può arrivare. Ebbene quella di Forte dei Marmi – questa la conclusione della studiosa – è di almeno tre anni posteriore alla data in cui sarebbe stata scritta. Un Montale che si ricopia nel ’79, con molte correzioni, e per di più appone la data 1976, è quantomeno bizzarro. Un giallista non resisterebbe alla tentazione di citare la pistola fumante.