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 2015  marzo 19 Giovedì calendario

Giampietro Manenti, il presidente da un euro. «Prima si compra poi si trovano i soldi». Flash grotteschi, surreali, di un personaggio che voleva entrare – e c’è riuscito, anche se per poco – nel Pantheon dei presidenti di serie A

Cosa resta di Giampietro Manenti, a parte Mina («Parole, parole, parole»)? Flash grotteschi, surreali, di un personaggio che voleva entrare – e c’è riuscito, anche se per poco – nel Pantheon dei presidenti di serie A.
Uno che voleva vincere facile. Spendendo niente. Che ha comprato per un 1 euro da un tycoon albanese del petrolio (Rezart Taci) ciò che restava del derelitto Parma Calcio lasciato dall’ex patron Ghirardi. Un club ridotto a una groviera di debiti (quasi 200 milioni quelli lordi, 96 al netto dei crediti) cresciuti alla media record del 1.131% rispetto al 2007 quando la società ducale, grazie alla cura Bondi dopo il crac Parmalat, tornò sana e pulita.
Di questo signore di 45 anni da Limbiate (provincia di Monza e Brianza), che per un mese ha preso in giro una città e i vertici del sistema calcio, restano brandelli di immagini che la dicono lunga. Primo flash. Fine febbraio, gara Parma-Atalanta: Manenti allo stadio Tardini sorseggiava amabilmente in tribuna d’onore un calice di spumante tra mortadelle e salumi vari – il tutto pagato da altri dato che lui un euro non l’ha mai messo e nelle casse del club non c’erano (e non ci sono) neanche i soldi per un caffè – mentre dalla curva gli gridavano «vattene, vattene» e in tribuna il sindaco grillino Federico Pizzarotti lo ignorava volutamente, avendo già avuto occasione di prendergli le misure. E all’uscita dallo stadio, se non fosse stato per la polizia, gli ultrà gli avrebbero fatto a pezzi pure l’auto (che, per la cronaca, gli è stata pignorata poco dopo, avendo un fardello di multe inevase pari a 1.900 euro).
Altro flash: quando ancora vantava un briciolo di credibilità (ma solo perché in pochi lo conoscevano), Manenti così ha tratteggiato in un’intervista al Corriere di Bergamo la sua filosofia aziendale: «Prima si acquista e poi si paga, altrimenti non si muove nulla…». E alla domanda sulla voragine di rosso che affliggeva il Parma, questa la disarmante risposta: «Nemmeno io so esattamente quanti siano i debiti, devo ancora fare la due diligence…».
Ma perché stupirsi, poi? Bastava fare un salto in Slovenia, a Nova Gorica, e andare a vedere che cos’è effettivamente quello che Manenti chiamava il quartier generale della sua Mapi Group: quattro scrivanie, due computer e 7.500 euro di bilancio sociale, il tutto sistemato nella casa dei signori Dusan e Nevenka Bremec, commercialisti ai quali il nostro continuava a promettere un futuro a forma di dollari. E invece ai parmensi, che quanto a scandali in questi anni hanno fatto il pieno (da Parmalat in poi, la città non ne ha azzeccata una), andò a raccontare di un piano industriale quinquennale da far invidia al buon Lenin. E intanto passavano i giorni, di stipendi a giocatori e dipendenti del club – circa ducento – neanche l’ombra. E al centro sportivo di Collecchio, più che gli allenamenti, andavano in scena i blitz degli ufficiali giudiziari, impegnati in sequestri sempre più creativi: auto e furgoni della società, la panchina sulla quale mister Donadoni seguiva le gare di campionato, utensili per la palestra, computer e stampanti (salvi, per pietà, i palloni). Manenti? Mica lo riguardava: «Non è questo il problema, non sono due sequestri, sto lavorando anche per voi…».
Ora che dalle accuse dell’inchiesta romana si comincia a capire qual era il «bancomat» che il sempre più sedicente imprenditore intendeva mungere. E si scopre pure che proprio candido l’uomo non era (precedenti per lesioni, bancarotta, possesso illegale di armi, tentata estorsione). E si comincia anche a capire come mai dieci anni fa, quando si presentò all’allora presidente della Parmalat, Enrico Bondi, proponendo un nuovo sistema di imbottigliamento delle bibite in lattina e vantando un presunto interessamento da parte della Coca Cola, venne liquidato in cinque minuti. E non molto di più durarono i suoi successivi tentativi di assalto al Brescia Calcio, alla Pro Vercelli e alle Cartiere Pigna.
Quello che invece si stenta a capire è dov’erano i vertici del sistema calcio quando uno come Manenti si è presentato alla porta d’ingresso della serie A. Domenica il Parma dovrebbe giocare al Tardini contro il Torino, ma non c’è un soldo per pagare luce, steward e servizi e si spera nella generosità di qualche impresa.
«È tutto uno schifo» ha sintetizzato il capitano del Parma, Alessandro Lucarelli, non andando molto lontano dal vero.