la Repubblica, 19 marzo 2015
Crisi del Parma, l’ultima incredibile puntata: arrestato per riciclaggio il presidente Manenti: «Voleva salvare il Parma con le carte clonate». Quattro milioni e mezzo di euro da una banda di pirati informatici legata alla mafia. La gang aveva sottratto alle banche 70 milioni di euro in tre giorni. Le intercettazioni: «La squadra la ricompriamo noi»
Sognavano di mettere le mani sul Parma Calcio grazie ad una serie di carte di credito clonate. A un giro di soldi incredibile che loro riuscivano a riciclare tramite una serie di fondazioni estere delle finalità apparentemente benefiche. È un’inchiesta che arriva fino a pochi giorni fa quella che ieri ha portato in carcere 21 persone con accuse che vanno dall’associazione per delinquere aggravata dall’utilizzo del metodo mafioso al riciclaggio passando per l’autoriciclaggio (contestato per la prima volta dall’entrata in vigore della normativa).
Due le ordinanze eseguite dal nucleo di polizia tributaria di Roma. Due indagini diverse con alcuni personaggi in comune. La prima è quella che riguarda di soldi rubati dalle carte di credito. Business gestito da vari soggetti, riciclatori di professione e hacker. Un’associazione, fatta di maghi del computer e personaggi legati alla criminalità organizzata, con sedi in varie città alla quale si rivolgeva chi aveva bisogno di pulire denaro in cambio, ovviamente, di una provvigione. E tra le persone che hanno cercato di ottenere “il servizio”, c’era il presidente del Parma Giampiero Manenti. Le intercettazioni raccontano una storia recentissima, della metà di febbraio. Sono i giorni in cui il Parma, comprato a 1 euro, non ha soldi per pagare gli stipendi dei giocatori. Il patron si mette in contatto con Angelo Augelli, uno degli arrestati. Ha bisogno di soldi per pagare i calciatori. Decidono per un affare da 4,5 milioni: soldi rubati con le carte sarebbero stati usati per comprare magliette, tute, abbonamenti allo stadio e per sponsorizzare la squadra, rimpinguandone le casse. I riciclatori sognano affari d’oro: «Praticamente ce lo ricompriamo noi il Parma». L’affare non andrà in porto per un problema tecnico. Ma questo non salva Manenti: il gip Cinzia Parasporo ha disposto il suo arresto con l’accusa di tentato reimpiego. E le indagini, per quanto riguarda questo filone, hanno assicurato i procuratori aggiunti Michele Prestipino e Nello Rossi che hanno coordinato il lavoro del pm Giorgio Orano, sono ancora in corso: i finanzieri sono dovuti intervenire perché subito perché la quantità di denaro che veniva ripulito era enorme. Basti pensare che in soli tre giorni, a metà febbraio, il gruppo aveva riciclato circa 70 milioni di euro.
Poi c’è la seconda inchiesta, quella per peculato. Che ha sullo sfondo il ministero dell’Economia. E, in particolare il commercialista romano Stefano Nannerini, nome già noto alla giustizia capitolina e mandatario elettorale di Maurizio Gasparri nel 1996. Il professionista, nonostante un arresto per corruzione nel 2000, appena tre anni dopo fu nominato commissario liquidatore di un fondo per la gestione straordinaria della città di Palermo. Il ministero stanziò 24 milioni per pagare i creditori: non un solo euro è servito alla causa per cui era stato elargito. Quel denaro pubblico è finito tutto nelle tasche di Nannerini e dei suoi parenti con la complicità di alcuni funzionari della Ragioneria Generale dello Stato che avrebbero dovuto controllare ma non lo hanno fatto. Anche loro, da ieri, in manette.