la Repubblica, 19 marzo 2015
La complicata giornata di Lupi, prima le contestazioni all’Expo, poi a Montecitorio, tra urla e orologi sventolati in Aula. Ma il ministro fa finta di niente e se ne va
Macché dimissioni. Maurizio Lupi non ci pensa proprio. Quando arriva a Montecitorio sorride, quasi spavaldo, e al cronista che gli domanda se sia davvero certo che il governo lo appoggi, risponde secco: «Mi appoggia sicuramente». Poi, scortato da Angelino Alfano, entra in un’aula semideserta, pronto per il suo question time. Sorpresa: solo i banchi dei grillini e dell’Udc sono affollati. C’è l’accusa e c’è la difesa. Ma dei 309 deputati del Pd ce ne sono appena una decina: non è un bel segnale, per il ministro. In compenso prima Buttiglione, poi Cicchitto e Brunetta salgono gli scalini dei banchi del governo per stringergli platealmente la mano. E quando qualcuno, dalla destra, gli fa un gesto di solidarietà, Lupi sorride e alza tutti e due i pollici: doppio okay, va tutto bene. Poi tutti aspettano che parli.
Qualcosa l’ha già detta a Milano, poche ore prima. Aveva preso l’impegno di inaugurare la fiera di edilizia «Made Expo» e non ha voluto cancellare l’appuntamento: per dimostrare che lui va avanti, nonostante la tempesta. Non ha fatto finta di nulla, anzi aspettava le domande dei giornalisti per rispondere alle accuse che gli piovono addosso. Sul Rolex che l’imprenditore Perotti ha regalato a suo figlio, per esempio: «Io non avrei mai accettato un orologio» ripete. «E non mi serve». Bastava guardargli il polso, per averne la conferma: lui ce l’ha già, un Rolex identico a quello generosamente donato a suo figlio Luca. Perché non abbia fatto restituire al mittente quell’orologio da diecimila euro, però, non l’ha detto.
E quel posto procurato al giovane Lupi dallo stesso Perotti? Il ministro ha insistito sulla sua linea: un conto è ricevere, un conto è chiedere. «E io non ho mai fatto pressioni per chiedere l’assunzione di mio figlio. Non ci potrà mai essere un’intercettazione io cui io dico: “Per cortesia devi assumere mio figlio”…». Non sapeva, il ministro, che in quel preciso momento le agenzie battevano un dettaglio del provvedimento giudiziario contro Incalza, il super-dirigente arrestato lunedì: «Allorché il ministro Lupi chiede a Incalza di ricevere il figlio Luca, all’evidente fine di reperire una soluzione lavorativa in favore di quest’ultimo, lo stesso Incalza immediatamente si rivolge al Perotti il quale subito si attiva». Dunque quel posto forse non l’avrà chiesto, ma a quanto pare l’ha fatto chiedere.
A mezzogiorno, comunque, Lupi si mostrava assolutamente certo di non poter essere accusato di nulla, al punto da spingersi retoricamente a ipotizzare quello che succederebbe se fosse dimostrata una sua colpa: «Io chiederei scusa, innanzitutto alla mia famiglia, ai miei amici e agli italiani, se fosse riscontrato che io abbia fatto qualsiasi gesto sbagliato o irresponsabile. Non avendo fatto questi gesti, quando si dimostrerà l’opposto ne prenderò immediatamente atto e chiederò scusa a tutti». E naturalmente parlava come se dicesse: ove mai si scoprisse che sono un marziano… Poi, dopo aver negato che Renzi gli abbia chiesto «un gesto spontaneo», ovvero le dimissioni, il ministro ha rinviato il seguito della sua autodifesa all’appuntamento con il Parlamento: «Credo che sia assolutamente doveroso da parte di un ministro rispondere in Parlamento alle legittime domande che sono sorte dall’inchiesta di Firenze». Ecco perché alle tre del pomeriggio, quando Lupi entra in aula, molti si aspettano di assistere alla sua arringa. Vogliono vedere come ne uscirà. Per prima parla la grillina Mirella Liuzzi. Parte a tavoletta, quasi gridando: pensa al blog che rilancerà il suo numero, non all’aula semideserta che ha attorno. Definisce Lupi «il portavoce del ministro Incalza», cita il Rolex («Vergogna!» urla Di Battista), gli dà del «bugiardo» e conclude con sarcasmo: «Ora che suo figlio è sistemato, avrà la dignità di dimettersi?». Già: cosa farà adesso il ministro? Nulla. Assolutamente nulla. Non ha alcuna intenzione di parlare del suo caso. Legge con tono piatto la risposta all’interrogazione e annuncia che risponderà, certo, «alle legittime richieste di chiarimenti, puntuali e doverosi, sull’azione del ministro», ma non adesso, perché nei tre minuti di un question time non ce ne sarebbe il tempo. Lo farà «quanto prima, in Parlamento, nelle modalità che la presidenza riterrà più opportune». Sì, gli dice la deputata del Pd Magda Culotta, «un chiarimento sui fatti che la riguardano è quantomai opportuno e auspichiamo che avvenga al più presto». Ma i Cinquestelle non ci stanno. «Dimissioni, dimissioni!» gridano in coro, mostrando ironicamente i loro orologi. Carlo Sibilia, già richiamato due volte, lancia il suo Swatch verso il ministro, e viene espulso, ma Lupi fa finta di non farci caso. E quando ha finito le sue risposte, lascia l’aula senza aspettare Renzi che sta arrivando.