Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  marzo 19 Giovedì calendario

Maurizio Lupi, sotto assedio, per ora non si dimette: «Il governo mi appoggia. Se ho sbagliato, chiederò scusa a tutti». Ma il Pd lo avverte: chiarisca e valuteremo

Si becca una contestazione alla Camera, le ironie della gente comune di prima mattina, le domande sui voti del figlio, sull’abito che indossa («Te lo sei pagato da solo?»; risposta: «Non ho bisogno di farmi pagare l’abito da nessuno»), alla fine della giornata va a riflettere nello studio del Viminale di Angelino Alfano, l’amico, ma anche il leader del suo partito, colui che finora lo sta difendendo più di tutti.
Maurizio Lupi tira dritto per la sua strada, convinto che possa non cambiare, possa includere la sua permanenza alla guida del ministero. Di mattina dice: «Se ho sbagliato chiederò scusa a tutti», a margine della inaugurazione della fiera Made Expo a Milano. Di pomeriggio in Parlamento si dice «tranquillo», anche del sostegno del governo, «mi appoggia sicuramente». Tanta sicurezza, a giudicare dalle mozioni di sfiducia, dalle dichiarazioni degli stessi esponenti del Pd, dal silenzio di Renzi, in una giornata comunque segnata, anche per il governo, dalla tragedia di Tunisi, si spiega sino ad un certo punto. Lupi «dovrà chiarire, poi faremo le nostre valutazioni», dicono ai piani alti del Pd, da Matteo Orfini a Lorenzo Guerini. Insomma la vicenda è aperta più che mai.
La giornata di Lupi è una sequela di atti a sua difesa, dichiara che Ercole Incalza «dal 31 dicembre 2014 non è più direttore dell’unità tecnica di missione», dice che se le cose andassero in modo diverso da come lui immagina chiederà «scusa innanzitutto alla mia famiglia, agli italiani. Ma – aggiunge subito dopo – finché io ritengo di non avere mai fatto un gesto sbagliato o irresponsabile, la mia azione è lì. Quando si dimostrerà l’opposto ne prenderò immediatamente atto, ma ritengo di non aver fatto nessuno di questi gesti». All’inaugurazione della fiera è attorniato da cronisti e gente comune, è anche bersaglio di ironia, c’è persino chi mette in dubbio il voto di laurea del figlio, ed è il momento in cui è ad un passo dal perdere la pazienza: «Forse lei ha controllato un nome sbagliato: sono pronto a scommettere con lei...». Ovviamente non ce n’è bisogno, ma la scelta di non annullare gli impegni implica dei veri e propri assedi fisici e mediatici. È anche questo un segno, mentre lui tiene a precisare che «Renzi non mi ha chiesto nessun gesto spontaneo», insomma che non è vero che gli sono state chieste le dimissioni. Vuole andare «al più presto» in Parlamento, per «dare tutte le risposte politiche e individuali, ribadisco di non avere fatto mai pressioni per chiedere l’assunzione di mio figlio, quindi non ci può essere nessuna intercettazione. Finché ritengo che non ho fatto nulla resto dove sono». I grillini in Aula alla Camera lo contestano mostrando degli orologi, gridandogli di dimettersi. Vengono espulsi. Nel Pd c’è il gelo della dirigenza: «Ci sono aspetti da chiarire, bene la disponibilità a farlo. Ascolteremo il chiarimento, poi faremo le valutazioni», riassume Orfini.
Il vero argine è ancora Angelino Alfano: «Lupi non ha pensato alle dimissioni ma noi e lui riteniamo corretto accelerare i tempi della sua informativa. Lupi è prontissimo ad affrontarla». Forse già domani. In serata Susanna Camusso punta l’indice: «Questo governo dovrebbe decidere un atteggiamento univoco nel rapporto tra inchieste e le singole persone. Sarebbe bene che si decidesse un comportamento senza lasciare ai singoli la decisione da prendere».