Corriere della Sera, 19 marzo 2015
Chi sono i terroristi? Erano tunisini, due sono morti nello scontro finale. È caccia ai complici. C’è chi accusa Ansar al Sharia dove sono confluiti estremisti che hanno trascorso lunghi periodi nelle carceri italiane. Altre piste portano ad Al Qaeda. Ma uno degli attentatori forse aveva combattuto negli ultimi tre mesi con l’Isis
Cavalieri neri per una missione sacrificale. Mujaheddin usciti dalla fabbrica della jihad tunisina. Jabeur Khachnaoui e Yassine Laabidi sono morti nella battaglia, mistero sui loro complici. Il primo, originario di Kasserine, era scomparso da tre mesi e aveva contattato la sua famiglia usando una sim irachena. Un piccolo indizio in un massacro realizzato secondo un modus operandi classico: gli occidentali come bersaglio, il simbolo del Parlamento, la presa d’ostaggi nel museo del Bardo. Quanto alla responsabilità, molti i candidati.
C’è chi accusa Ansar al Sharia mentre un’ipotesi investigativa conduce a Obka bin Nafi, fazione legata ad Al Qaeda nella terra del Maghreb e che ha firmato molti attacchi partendo dai suoi rifugi sul Jebel Chambi, area di Kasserine, nell’ovest della Tunisia. Ha i mezzi, esperienza ed è determinata. In un messaggio sul web, l’emiro qaedista, Wennas Al-Faqeeh, ha annunciato un’offensiva in un Paese dove «si è diffusa la corruzione, la perdizione, la povertà». Però non è chiaro se abbia cercato di inserirsi nella storia o sia, invece, una rivendicazione indiretta. Interessante che abbia usato la parola gazwat, un termine al plurale per ricordare le scorrerie sotto la guida del Profeta. Proclama seguito da informazioni sulla presenza ad Ariana di «uomini che hanno partecipato all’operazione benedetta». Toni che ricordano il progetto di prendere di mira i turisti italiani, piano elaborato da Ansar, movimento dove sono confluiti alcuni estremisti tunisini che hanno trascorso lunghi periodi di detenzione in Italia e hanno ritrovato spazio con la primavera araba. C’era qualcuno di loro nella squadra d’assalto? Non sarebbe una sorpresa.
Il commando è arrivato fino al centro della capitale percorrendo un sentiero ideale iniziato almeno tre anni fa, quando gruppi di ispirazione diversa ma tutti legati dalla lotta armata hanno alzato il livello dello scontro. Prima con attacchi nelle regioni di confine, quindi con la presenza di cellule nei centri abitati. Uno stillicidio di attentati costati la vita a politici importanti e a decine di soldati. E qui si sono aperti un varco quelli di Obka bin Nafi, molti di loro veterani del conflitto in Mali.
I militanti si sono infiltrati creando gruppi di fuoco. Nella capitale e in altre zone abitate hanno costituito dei covi, basi di partenza per sferrare incursioni a sorpresa. A settembre, la polizia ha neutralizzato una colonna che voleva eliminare l’ambasciatore Usa con un’esplosione mentre si recava dal suo barbiere di fiducia. Programmi sostenuti da un flusso continuo di fucili, bombe, munizioni. Materiale fatto arrivare dall’Algeria, dove è sempre presente Al Qaeda nella terra del Maghreb, e dalla Libia, rifugio per i ricercati e terra d’addestramento per i militanti tunisini. I soldati hanno gettato la rete riuscendo a intercettare dei carichi. In una sola occasione hanno sequestrato 4 tonnellate di armamenti. Un piccolo arsenale per un fronte in espansione e con una grande tradizione estremista.
Molti tunisini erano in Afghanistan al fianco di Bin Laden, due di loro hanno ucciso il comandante Massud, un anno dopo – nell’aprile 2002 – hanno sventrato la sinagoga di Djerba piena di stranieri. Poi i volontari finiti nella ribellione irachena agli ordini di Abu Musab al Zarkawi, il primo tagliatore di teste. Che una volta disse di Ben Guerdane, la cittadina tunisina da dove sono partiti molti jihadisti: «Se fosse stata vicino a Falluja avremmo già liberato l’Iraq».
Non lo hanno «liberato» ma ci sono rimasti e altri si sono aggiunti entrando nell’Isis. Almeno 3 mila tunisini si sono uniti a formazioni oltranziste in Siria e in Iraq. Di questi 400 sono tornati in patria. C’era anche Jabeur Khachnaoui? L’utilizzo della sim irachena potrebbe farlo pensare.